Arrestato per tentato furto: aveva semplicemente dimenticato le chiavi di casa

 

Davvero bizzarra, al limite del tragicomico, la disavventura con la giustizia capitata ad un 47enne padovano: è stato arrestato per essersi chiuso fuori di casa. La «colpa» dell’uomo, che vive insieme a due ragazze in un appartamento di via Santa Sofia, nel centro storico di Padova, è stata di uscire dal suo appartamento, lo scorso 8 dicembre, dimenticandosi le chiavi all’interno. Se ne è accorto solo al momento del rientro, intorno all’una di notte, e allora ha telefonato ad una delle due coinquiline, per chiederle di aprirgli. Ma lei, come l’altra giovane, era fuori per l’intero week-end.
Il malcapitato ha così suonato i campanelli dei condòmini, uno dei quali gli ha aperto il portone d’ingresso della palazzina. Una volta entrato, ha cercato di far scattare la serratura del proprio appartamento con una tessera magnetica. Ma un’inquilina, sentendo quei rumori sospetti all’una di notte, si è spaventata e ha chiamato i carabinieri. Una gazzella è arrivata in via Santa Sofia nel giro di pochi minuti, trovando il 47enne, che ha precedenti per furto e ricettazione, seduto davanti alla porta di casa e con la tessera magnetica ancora in mano. «A nulla sono valse le sue spiegazioni — racconta l’avvocato Chiara Balbinot, che difende l’uomo — i militari non hanno creduto alla versione fornita dal mio assistito. Hanno suonato il campanello del suo appartamento, per controllare se ci fosse qualcuno, e non avendo ricevuto risposta l’hanno portato in caserma. Il padovano ha trascorso la notte in cella di sicurezza e solo la mattina dopo, al momento di affrontare il processo per direttissima con l’accusa di tentato furto in abitazione, ha potuto avvertirmi ». Nonostante l’invito del malcapitato a controllare la sua abitazione, dove c’erano documenti e altri effetti personali che ne provavano la presenza lì, il giudice monocratico Mariella Fino il 9 dicembre ha convalidato l’arresto. «Eppure in tribunale si è precipitata la madre del mio cliente, da me avvertita — ricorda la Balbinot — per testimoniare che il figlio effettivamente abita nella casa che lo accusavano di voler scassinare. Ma il giudice ha rinviato l’udienza al 23 dicembre, assicurando che avrebbe ascoltato la donna solo in quell’occasione. Non ha voluto nemmeno sentire una delle due coinquiline che, lavorando a Venezia e non potendo arrivare in aula in tempo utile, era pronta a confermare la versione dell’uomo per telefono».
Lo stesso magistrato aveva poi accolto la richiesta avanzata dal pm di custodia cautelare in carcere, dove il 47enne ha dunque rischiato di trascorrere il tempo che lo separava dal processo: due settimane. A quel punto la Balbinot ha inoltrato domanda di modifica della misura cautelare in arresti domiciliari, da scontare proprio nella casa «incriminata». «Il giudice allora è stato costretto a disporre accertamenti sul domicilio del mio assistito, che nel frattempo ha passato la notte del 9 dicembre in prigione— prosegue l’avvocato —. Il giorno dopo i carabinieri hanno appurato che vive davvero in quell’appartamento di via Santa Sofia, così è stato liberato ma è rimasto indagato per tentato furto».