Il racconto della giornalista Elena De Vincenzo, in Libano con gli operatori di pace

 

“Qui da noi li chiamano gli angeli della pace, sì, i miei cittadini li chiamano così”. Eppure loro indossano la mimetica, la pistola in cintura o imbracciano il fucile. Sul capo, il basco blu.
Il sindaco di Tayr Hafar lo incontro ad una amichevole di calcio, libanesi e italiani giocano nel campetto che hanno risistemato insieme, in questo villaggio sunnita nel sud del Libano, a pochi chilometri dal confine con Israele. Da qui, a gennaio, sono stati lanciati due razzi qassam. E qui ci sono i lancieri di Novara, e fra questi angeli – o forse sarebbe meglio dire “cavalieri della pace” – c’è anche il tenente Fabio Zulian.
“De Padova”, mi risponde sorridendo quando chiedo se c’è qualcuno originario della città del Santo. L’esercitazione al poligono è finita, si può parlare. Fabio Zulian qui in Libano è direttore dello sgombero, deve accertarsi che quando si spara non ci sia nessun pericolo. “Fino ad ora è andato tutto bene, non si sono mai verificate situazioni a rischio”.
Guardando verso il poligono, a destra c’è Israele, lì, a pochi chilometri, dietro c’è l’azzurro del Mediterraneo.
Lungo le strade libanesi vecchi cannoni puntano verso lo stato confinante.
I lancieri sono custodi di un equilibrio sottile, garanti dell’imparzialità: Libano e Israele devono rispettare “i patti”. La tensione, lì al confine, la si avverte anche se sembra tutto tranquillo, anche se ancora – succederà 24 ore dopo – non sono stati lanciati razzi da un campo di banane lungo la cluster road (la strada delle mine); la tensione, lì al confine, passa fra le dita, nello spazio fra il pulsante rec della telecamera e la pelle; la si avverte se c’è il sole, se piove, se il cielo sembra incupirsi e poi invece esplode con la luce di un sole caldo e accecante.
“Il rientro dalla mia famiglia – mi spiega Fabio – è bellissimo, ma anche un po’ difficile, nel senso che devo come riadattarmi. E’ difficile anche per chi mi sta accanto, la missione la fa anche mia moglie.” Fabio ha 26 anni, ed è alla sua seconda esperienza in Libano, la prima nel 2006. “Quando sono tornato in Libano, alla fine di ottobre, ho subito notato che c’è molta meno distruzione; i libanesi sono un popolo intraprendente, e beh, sì, in questo mi ricordano un po’ i veneti, non se ne stanno certo con le mani in mano. Molti si sono ricostruiti la loro casa, lavoratori, come noi veneti”. Nelle sue parole c’è una punta di dolce orgoglio.
“Adesso ci sono dei veri e propri rapporti con la popolazione, spesso ci ringraziano.”
Il sindaco di Tayr Hafar magari faceva un po’ “il politico”, magari esagerava definendo i lancieri “angeli di pace”.. magari no.
Il contatto umano, i buoni rapporti con la popolazione, sono da sempre una caratteristica del nostro esercito. Una caratteristica che qui nel sector west del Libano del sud sembra esprimersi con chiarezza.
“Cosa ti porterai nel cuore quando tornerai in Veneto?”, chiedo a Fabio. “Beh, a casa mi porto i paesaggi del Libano, il mare.. eh, è bellissimo, da noi non è proprio così.. anche se da noi ci sono tantissime cose stupende che mi mancano.. E poi sì, sicuramente, quello che mi resterà sarà il rapporto positivo con la gente, il rapporto di fiducia che si è creato con i locali.”
Magari il sindaco di Tayr ha esagerato.. magari no.

Guarda il video di una operazione di bonifica da razzi sparati contro Israele