Padova muore dietro un “stai zitto e fatti i cazzi tuoi”. Il chissenefrega è una brutta malattia che colpisce anche i giovani della Padova bene

 

Ci sono dei silenzi che inquietano e parole che sono altrettanto inquietanti dietro la morte del ragazzo padovano precipitando dal quinto piano di un albergo di Milano. Il silenzio che inquieta è quello dei compagni di scuola. Nessuno parla. Eppure, almeno a quanto mi dice l’esperienza di anni di cronaca, è praticamente impossibile che nessuno abbia visto o sentito. Chi sta in silenzio in questo caso tace. Figlio della cultura del “stai zitto e fatti i cazzi tuoi” con cui inizia una delle canzoni più lucide di sempre scritta sulla città del Santo, “Padova muore”. Clicca per ascoltare l’hit dei Massima Tackenza
Altri stanno in silenzio, stanno zitti e si fanno i cazzi propri: sono quelli che hanno programmato di sfilare in silenzio, appunto, domani sera durante la fiaccolata contro i profughi. Non li vogliono: sono finiti a centinaia in fondo al mare. Morti anche loro, molti coetanei del nostro giovane concittadino. E di fronte a quei corpi di uomini, donne e bambini, c’è chi sfila perchè non vuole i sopravvissuti, e forse vorrebbe morti anche quelli. Quei corpi li hanno visti quelli che sono pronti a sfilare e che raccolgono firme contro l’arrivo dei vivi, ma preferiscono manifestare contro quelli che arrivano, che non hanno avuto nemmeno la decenza di affogare. Clicca qui per vedere come rispondono alcuni padovani di piazza delle Erbe sulla questione profughi
La voglia di pensare solo a sè è più forte della pietà che si dovrebbe provare nei confronti degli altri in entrambi i casi. Specie se gli altri sono lontani, magari anche di cultura e colore della pelle diverso dai “padovani per bene”. I figli di quei genitori che dicono “lasciamo che anneghino, chissenefrega” o, i più prudenti “rimandiamoli a casa loro tutti”, come se a casa loro ci fosse una alternativa alla morte, hanno imparato progressivamente a tacere di fronte a morti sempre più vicine. E così si arriva al punto che un compagno di classe, coetaneo, cade nel vuoto e muore. E ci si gira dall’altra parte. Perchè si rischia l’anno scolastico, la galera, e chissà cosa direbbero i vicini di mamma e papà.
Non può essere, ha pensato la preside, che uno dei figli della Padova bene, dei genitori per bene, abbia fatto del male. (clicca qui per leggere l’intervista alla preside) C’era addirittura uno slavo allo stesso piano. Probabilissimo che sia stato lui, è stato il ragionamento della preside. Vuoi che qualcuno abbia visto e non abbia detto niente? Impossibile: sono i figli della città tranquilla, che non fa casino, non sta in strada con una birra in mano a combinare chissà quale cosa turpe, con quella pelle scura e quei modi sguaiati. La preside, a mio modo di vedere, faceva meglio a stare zitta e qualcuno dei ragazzi farebbe meglio a parlare. Perchè potrà essere anche stato un incidente, ma continuare a tacere, sarebbe quello sì davvero criminale, quasi inumano.
Certo di dirà, perchè scrivi, perchè non stai zitto e ti fai anche tu i cazzi tuoi? Perchè provo pena per un ventenne morto per una stupidaggine ed ancora più pena per un gruppo di ventenni che non ha visto nulla, non ha sentito nulla, non dice niente. E’ il silenzio che rischia di essere quello di chi è morto dentro. Ho paura di far crescere le mie bambine in una città così. Padova muore cantavano altri ventenni. Non vorrei che avessero davvero ragione.

Alberto Gottardo

P.S.: Prendersela coi ragazzi, con i genitori, con la preside e anche con quelli che dicono “chissenefrega se annegano” sarebbe stupido e sbagliato. Forse piuttosto che cercare un capro espiatorio sarebbe ora di indagare del perchè la città che nel ‘200 seppe ascoltare un profugo santo ora si rintani dietro fiaccole e cancelli. Sarà stato merito di Sant’antonio, ma sono quasi sicuro che il cuore dei padovani di allora non fosse così nero come quello di taluni di oggi