L’arresto di Luca Claudio ad Abano Terme visto dall’ex sindaco reggente di Padova Ivo Rossi

 

L’arresto di Luca Claudio, discusso sindaco di Abano, e prima ancora di Montegrotto, solleva alcuni interrogativi relativamente al rapporto eletti ed elettori e sul rapporto politica magistratura. Un primo interrogativo riguarda “l’innocenza” del popolo che l’ha rieletto – per la quarta volta – e che la sera delle elezioni, almeno una sua parte, sfrecciava ringhiante per le strade della cittadina aponense con aria di sfida nei confronti di chi aveva osato mettere in discussione il regno e le modalità di esercizio del potere. Quel popolo può oggi dirsi inconsapevole nel momento in cui effettuava la sua scelta?

Poiché le indagini e le accuse nei confronti del sindaco erano sotto agli occhi di tutti da svariati mesi, appare difficile potere sostenere che non si sapeva. E se tutti sapevano perché quel popolo, a cui solitamente ci si riferisce immaginandolo per definizione onesto e perbene, ha scelto un rappresentante su cui gravavano nubi pesantissime, preferendolo ad altro candidato, in questo caso in barba all’assioma classico che vuole il politico, almeno in questa stagione, per definizione, uno poco di buono? Insomma un bel tema, completamente fuori dallo schema classico che vuole il popolo per definizione come portatore del bene, mentre il politico è, agli occhi dello stesso popolo, il rappresentante del male, segno che la semplificazione che vuole l’innocenza tutta da una parte e la colpevolezza dall’altra, probabilmente non funziona alla prova dei fatti. Il secondo interrogativo riguarda le modalità dell’intervento della magistratura ad elezioni appena avvenute, lasciando il dubbio che se si fosse intervenuti prima delle elezioni queste avrebbero quasi certamente dato un esito diverso. Argomento questo che ha un suo apparente fascino e utilità, perché la magistratura avrebbe in tal modo “avvertito” il popolo mettendolo nelle condizioni di non incorrere in errore. Vorrei però opporre che se così fosse stato, da parte di qualcuno sarebbe stata sollevata la questione della giustizia a tempo o ad orologeria. Altro, invece, se fosse stato possibile arrivare all’arresto in data di molto precedente la convocazione dei comizi elettorali (ma su questo ovviamente gli inquirenti avranno di sicuro avuto le loro buone ragioni investigative), liberando la contesa da possibili strumentalizzazioni. Per questo trovo che la modalità di intervento ad elezioni avvenute abbia un suo fondamento perché non solo ha evitato che si potesse parlare di giustizia ad orologeria, ma anche di una possibile alterazione e/o condizionamento del voto popolare. A proposito di possibili condizionamenti del voto, ricordo quanto avvenuto due anni fa, a tre giorni dal ballottaggio per l’elezione del sindaco di Padova, quando nel nostro Veneto, assieme a Galan e Chisso, fu posto agli arresti domiciliari il sindaco di Venezia Orsoni. Non posso dimenticare come il giorno successivo, a poche ore da un voto decisivo, campeggiasse sulle prime pagine dei quotidiani locali una foto che mi ritraeva assieme ad Orsoni nell’atto di brindare, e come da quella foto fosse stata tagliata la terza persona che brindava con noi per la sua avvenuta elezione un anno prima, ovvero il sindaco di Treviso Manildo con cui immaginavamo di dar vita alla città metropolitana veneta. Clicca qui per continuare a leggere