Luci ed ombre sulla manovra del Governo viste da Fernando Zilio (Ascom)

 

“Non so se può bastare a rendere meno amara la medicina che il governo sta cercando di farci ingoiare sul fronte della riforma del lavoro, ma comunque è una presa d’atto, da parte dell’Agenzia delle Entrate, che la crisi c’è e gli studi di settore non possono fare altro che registrarla, pena uno scollamento totale tra mondo produttivo e burocrazia di Stato”.
Fernando Zilio, presidente di Ascom Confcommercio Padova accoglie con moderata soddisfazione la diffusione della circolare dell’Agenzia delle Entrate che specifica come gli studi di settore possano essere integrati sulla base degli andamenti economici già in relazione al periodo di imposta 2011.

Si tratta, in sostanza, di accorgimenti che possono riguardare determinati settori o aree territoriali, con l’obiettivo di rendere gli studi sempre più capaci di stimare i ricavi e i compensi degli operatori, di questi tempi (come più volte segnalato dalla stessa Ascom) sicuramente in difficoltà a rispettare parametri stilati in tempi di vacche grasse.
“Credo sia una presa d’atto significativa ma dovuta – continua il presidente dell’Ascom padovana – anche perché non era pensabile che i livelli di reddito richiesti dagli studi di settore potessero rimanere immobili rispetto ad una realtà economica tecnicamente in recessione, con i consumi in vistoso calo e con una pressione fiscale che non ha eguali in nessun altro Paese europeo”.

La circolare affronta poi altri aspetti degli studi di settore, quali i ravvedimenti per l’omessa presentazione del modello, i benefici per i contribuenti che risultano congrui e coerenti per il 2011 per i quali, in particolare, sono preclusi gli accertamenti di tipo “analitico-presuntivo”.
Ma, come si diceva all’inizio, c’è preoccupazione, nel mondo della piccola impresa, per quanto il governo si appresta a varare in materia di riforma del mercato del lavoro.
“Purtroppo – conclude Zilio – il triangolo governo-sindacati-Confindustria, anche in questo caso, la sta facendo da padrone e sembra intenzionato a scaricare sulle piccole imprese un aumento del costo del lavoro che le stesse piccole imprese non saranno in grado di sopportare, visto anche il contemporaneo aumento dei contributi a carico dei commercianti ed artigiani. Se si procederà in tal senso, la disdetta, da parte nostra, dei contratti va vista non come un’ipotesi residuale ma come la prima opzione per far capire che non si può mettere in ginocchio il 95% delle imprese insediate sul territorio nazionale e che danno lavoro a 7 milioni di persone”.