Ali Faryad obbligato a chiudere alle 14. Su venti commercianti di piazza delle Erbe, la colpa degli accoltellamenti è sua. La colpa di non essere italiano

 

Ci sono circa venti esercizi commerciali che affacciano sul lato nord est di piazza delle Erbe. Nella notte tra sabato e domenica un gruppo di tunisini si sono affrontati a colpi di bottiglia e coltelli. Due sono rimasti distesi sui masegni, feriti gravemente. Non era mai accaduto negli ultimi anni un fatto letteralmente di sangue, tanto grave. E l’amministrazione comunale ha deciso di intervenire nell’unica maniera che ha contraddistinto questo primo anno targato Bitonci: cercando un nemico a cui addossare tutte le colpe. E Alì Faryad si prestava perfettamente allo scopo: musulmano, pakistano di nascita, vende kebab da due anni in piazza e non parla neanche proprio correttamente l’italiano. Colpito ed affondato da una ordinanza ad hoc: deve chiudere alle 14. Cioè, di fatto, deve chiudere. 
Settant’anni fa su certi negozi mettevano la stella di David. La mezzaluna sarebbe stata troppo poco politically correct ed allora ci si rifugia dietro l’atto burocratico. Una vigliaccheria che puzza di provvedimento razziale. E un piccolo gruppo, una trentina di padovani per bene, si è ribellato oggi nel primo pomeriggio, andando a portare la propria solidarietà ad Alì. Ordinando un kebap, per altro buonissimo. L’idea l’ha avuta Anna Cortelazzo, giovane dottoressa dell’università di Padova che ha nel motto la Patavina libertas oltraggiata da un provvedimento che spero presto i giudici del Tar possano giudicare immotivato. Giovedì tornerò con la mia famiglia da Alì. Per un kebap e una cocacola prima delle 14. Perchè il socio di Alì ha una bimba coetanea della mia più piccola, e un affitto da 1200 euro al mese per 20 metri quadrati da pagare, pena lo sfratto. Anch’io, che pure ho un cognome padovano e la pelle bianca, sono stato ostacolato nel mio lavoro molte volte nell’ultimo anno. Ai miei datori di lavoro sono arrivate telefonate velenose, provenienti da palazzo Moroni. Alcuni lavori li ho persi a causa di quelle telefonate. Mi hanno perseguitato, minacciando chi mi dava lavoro, perchè non sono leghista. Sono colpevole anch’io: mi oppongo alla stupidità ed alle discriminazioni. Ho addirittura rifiutato quando l’attuale portavoce del sindaco, davanti a un caffè mi aveva fatto capire che se “me ne stavo buono e davo una mano” all’indomani del ballottaggio “Un posto saltava fuori”. Io ho detto no. E sono stato anch’io destinatario di un tentativo di chiusura o almeno di ostracismo professionale. Io non tradisco le mie idee e nemmeno un amico come Ivo Rossi, ed hanno deciso di farmela pagare. Anche su di me è stata tracciata una stella gialla. Perchè essere stranieri, o non pensarla come il sindaco leghista e i suoi scherani, può essere pericoloso, in una città in cui vige il comandamento “tasi e fatti gli affari tuoi”. Viene in mente una vecchia massima che dice: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

Alberto Gottardo