Confindustria Padova vede una timida ripresa trainata dall’export Ue

 

L’industria padovana esorcizza i rischi di nuovo ribasso e manda segnali di graduale, ma lenta ripresa. Dopo un inizio d’anno piatto, la crescita annua della produzione nel secondo trimestre 2014 (+2,1%) conferma l’inversione di tendenza registrata dalla seconda metà 2013, sia pure discontinua. Grazie alla spinta dell’export, specie Ue. Ma anche al recupero (lento) della domanda interna. Qualche segnale positivo dal lavoro, primo effetto del decreto Poletti. Cauto miglioramento delle prospettive, ma la dispersione dei giudizi è alta. La risalita sarà lenta e selettiva, il risultato va costruito nella seconda metà d’anno, agendo sul credito, la competitività, gli investimenti pubblici. E sulle riforme, per restituire fiducia.

Nel secondo trimestre 2014 l’indice della produzione industriale aumenta del +2,1% rispetto allo stesso periodo del 2013. La variazione degli ultimi trimestri è però discontinua e a più velocità. Il metalmeccanico tra i settori (+3,3%) e le imprese con oltre 50 addetti (+2,6%) vanno meglio della media. Recuperano i servizi (+2,4%), segni di vita dalle costruzioni (+2,6%), effetto del bonus ristrutturazioni. La variazione degli ordinativi su base annua torna positiva (+1,5%), dopo il ristagno in avvio d’anno. Per il 31,8% delle imprese la visibilità sugli ordini non arriva a un mese, per il 24,2% supera i tre mesi. Le vendite in Italia, dopo due anni di flessioni ininterrotte, registrano il secondo dato positivo, +0,6% (dopo +0,4% a inizio anno). Più toniche le vendite all’estero, con una variazione annua molto positiva (+5%), estesa a tutte le dimensioni aziendali, e una performance segnatamente in crescita per il metalmeccanico (+6,6%) e per le imprese fra 10-19 addetti (+8,5%). L’incerta ripresa nell’Eurozona sostiene le vendite nell’Ue (+7,4%), più contenute verso i mercati extra-Ue (+1,6%) per l’effetto euro-forte.
L’indice dell’occupazione dà qualche segnale positivo, con un +1,2% annuo e contrazione solo nelle costruzioni (-0,8%). Il dato si concentra sotto i 10 addetti (+6,4%), meno significativo in valore assoluto. L’occupazione è mossa dai contratti a tempo determinato, pari al 62% delle nuove assunzioni, diminuisce il tempo indeterminato (18,7%), stabile l’interinale (19,3%).

Il recupero dell’attività è lento e a velocità differenziata. Meno tese le spinte inflazionistiche sui prezzi delle materie prime, in aumento per il 30,5% delle imprese. Marginale il miglioramento delle condizioni del credito, con rialzo dei tassi di interesse bancari per il 24,8% delle imprese (dal 28,8%), ma costo superiore all’area euro. La liquidità aziendale è giudicata tesa dal 30,2%, anche a causa dei tempi di pagamento: il 53,6% (in calo) lamenta ritardi.
Le previsioni per il terzo trimestre mostrano un clima di cauta fiducia, con saldi positivi, ma in calo per l’export. La produzione è attesa in crescita dal 30,6% delle imprese, in calo dal 18,9%: saldo di opinione da +8 a +12. Ancora deboli ma in recupero gli ordini interni, in aumento per il 22,1%, in diminuzione per il 20%. Meno intonata la fiducia sulla domanda estera, in aumento per il 31,3%, giù per il 10,4. Il 72% giudica stabili le prospettive dell’occupazione. Oltre 1/3 delle nuove assunzioni riguarderà laureati. Il ritrovato slancio dell’economia globale e attese di stabilizzazione nella seconda metà dell’anno, migliorano gli investimenti, previsti nei prossimi dodici mesi dal 64,6% delle aziende. Il 25,5% aumenterà gli impieghi, il 36% li manterrà stabili. Prevalgono gli investimenti in innovazione tecnologica, sostituzione di impianti, R&S.

«Il secondo trimestre conferma un quadro congiunturale di crescita debole e discontinua, siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi. È una crescita a due velocità, da un lato ci sono le piccole imprese ancora in forte difficoltà per la staticità del mercato interno e la minor capacità di sfruttare al meglio l’export, dall’altro le medie imprese che grazie all’innovazione registrano performance significative. Dobbiamo far crescere questa manifattura d’avanguardia che può trascinare anche le Pmi e non rassegnarci a un orizzonte di crescita debole o piatta. Per farlo occorrono scelte di politica industriale fortemente orientate all’innovazione e uno shock positivo fatto di dosi massicce di investimenti, tagli selettivi ed equivalenti alla spesa corrente, una decisa riduzione del prelievo fiscale sulle imprese. Concentrare le azioni sulla competitività dell’offerta è l’unico detonatore per una più alta crescita. Il decreto competitività contiene misure in questo verso, dal credito d’imposta per i beni strumentali al rafforzamento dell’Ace al sostegno all’export, ma i piccoli passi non ci tireranno fuori dalle secche. Serve una scossa, come l’abolizione dell’Irap. I molti impegni assunti dal Governo verranno al pettine con la legge di Stabilità di ottobre. Per dipanarli occorre una forte decisione politica che affondi il bisturi nella spesa pubblica per tagliare le tasse e scongiurare una manovra. Basta tira e molla sui molti fronti delle riforme, il Governo ascolti tutti e poi decida, per restituire fiducia alle famiglie e alle imprese». Così il presidente di Confindustria Padova, Massimo Pavin commenta i risultati dell’indagine congiunturale realizzata da Ufficio Studi di Confindustria Padova, in collaborazione con Fondazione Nord Est, su un campione di 331 imprese.

«Finanziare l’economia produttiva – insiste Pavin – facendo affluire alle piccole e medie imprese l’enorme liquidità che c’è, resta un problema pressante e una condizione decisiva per irrobustire i deboli segnali di ripresa. Dopo le ultime misure espansive della Bce sono finiti gli alibi, questa liquidità deve diventare benzina per la crescita. Chiedo alle maggiori banche che operano nel Veneto di finanziare i piani a medio-lungo termine delle aziende, gli investimenti e la proiezione all’estero, per tirarci insieme fuori dalle secche. Questo stimolerà anche l’utilizzo di finanza strutturata per l’impresa. Più capitali propri, nuovi canali che facciano affluire risorse alle Pmi tramite investitori istituzionali, Fondo centrale di garanzia. La sfida è riportare la finanza al servizio dell’economia produttiva».