Laureati stranieri dequalificati in Italia: il fenomeno analizzato da Edgar J. Serrano

 

Brain drain è la frase che meglio di ogni altra riesce a definire in modo efficace la perdita di risorse umane qualificate da parte di un Paese a causa dei flussi migratori verso l’esterno. Tale fenomeno colpisce particolarmente la parte più impoverita del Sud del mondo e il suo incremento ed espansione sembra inarrestabile e, dal come vanno le cose nel mondo, irreversibile.

Il fenomeno della fuga dei cervelli dalle aree più impoverite del mondo verso quelle a più alto tasso di benessere e di sicurezza è una questione che non deve essere trascurata né sottovalutata.

 

I protagonisti del brain drain rappresentano una popolazione dalle enormi potenzialità che, purtroppo, trova scarse possibilità di adeguati sbocchi nelle società dove essi approdano.  Osserviamo, infatti,  che alcuni paesi destinatari di importanti flussi migratori non hanno -e non hanno mai avuto- una chiara e stabile strategia istituzionale verso questa particolare componente di immigrati. E’ questo il triste caso dell’Italia.

In questo nostro paese risiedono circa di 900mila immigrati stranieri con titoli di studi superiori (lauree, specializzazioni e perfino dottorati di ricerca) ma la grandissima parte di essi svolge attività per niente coerenti con le loro conoscenze, competenze e abilità, cioè, svolgono attività molto diverse rispetto alle professionalità conseguite nei loro paesi d’origine. Mettendo, infatti, a confronto le loro competenze professionali con il tipo di attività che svolgono qui in Italia, emerge che più del 75% delle donne e più del 68% degli uomini subiscono, con l’andare del tempo, un doloroso e progressivo processo di dequalificazione delle loro conoscenze, professionalità e competenze.

 

Le storie dell’ingegnere che fa il cuoco, dell’antropologa che fa la domestica o del medico che fa il benzinaio appaiono unite da un insieme di circostanze a cominciare, per esempio, dall’assenza di meditate politiche di accoglienza e di aggiornamenti professionali concepite per gli immigrati con qualificati titolo di studio i quali, proprio in mancanza di ciò, sono costretti -per esigenze di sopravvivenza- a frequentare corsi di mediatori interculturali, di collaboratrici domestiche, di meccanico, di saldatore, di pizzaiolo, ecc., ecc.

La conseguenza del grave vuoto di attenzione verso i professionisti stranieri che vivono in Italia è che essi sono vittime di una doppia forma di discriminazione: verso la loro professione e verso la loro dignità.  Questa constatazione, a sua volta, rinforza una seconda doppia perdita: quella di non essere stati valorizzati nel -o dal- proprio Paese di provenienza  né dall’Italia, cioè, dove è arrivato in cerca di futuro.

Sembra, insomma, che nessuno si avvantaggi da un numero così alto di professionisti immigrati in giro per il Bel Paese. Al contrario, questi professionisti  sono gli unici soggetti che perdono in tutti i sensi.

 

Contro la dilagante dequalificazione dei laureati stranieri presenti in Italia, un processo di riqualificazione delle loro  competenze potrebbe una strada interessante e utile per l’Italia ma, tale strada appare ancora molto lunga e piena di difficoltà di ogni tipo. Non sempre è facile, infatti, mettersi d’accordo circa i fattori che potrebbero contribuire ad una loro risalita professionale e sociale. Su una cosa, tutti sembrano convenire: questi laureati stranieri possiedono un ampio e potentissimo capitale sociale. Il che li permette muoversi con facilità in articolate reti di relazioni che travalicano la dimensione etnica.

Molto andrebbe fatto per valorizzare le potenzialità riscontrabili presso questa particolare presenza straniera come, ad esempio, l’elevata capacità di valorizzare le proprie prestazioni e il saper muoversi efficacemente in contesti pluriculturali. Gli immigrati laureati, insomma, possiedono un elevato tasso di competenza interculturale.  Di questo bisogna tener conto il giorno in cui l’Italia si deciderà a cambiare atteggiamento nei confronti di questa preziosa ma profondamente sottovalutata presenza.

(*) Università di Padova // [email protected]