Non siamo Charlie, ma proveremo ad essere giornalisti migliori senza paura di potenti e prepotenti

 

C’è chi ha fatto una corsa, chi era in ritardo, chi ha scritto “sono là anche se non ci sono”. Un mestieraccio quello del giornalista, sempre di corsa. Ma in tanti amici hanno trovato dieci minuti per venire a rendere omaggio agli otto professionisti dell’informazione uccisi da chi vuole mettere a tacere con la violenza le voci che non gli piacciono. E’ successo ieri a Parigi, è successo anni fa a Milano con Walter Tobagi, a Mosca con Anna Politkovskaja e prima e dopo di loro a tanti giornalisti che non hanno avuto paura ed hanno dato la vita per questo. Ringrazio tutti gli amici che sono venuti a rendere omaggio alle vittime del terrorismo sotto quella trave contorta da fuoco dell’11 settembre. Una cosa bella l’ha scritta Angelo Cimarosti, che mi ha insegnato il mestiere tanti anni fa, e che rimane uno dei giornalisti che ammiro di più.
“NON sono Charlie, bisogna essere molto più coraggiosi per esserlo. Ma per qualche secondo il cartello l’ho tenuto in mano anch’io. Per poi ridarlo, come fosse un testimone, una cosa che non mi appartiene. Dietro c’è il monumento di Libeskind di Padova, che ingloba una trave del World Trade Center. E poi il Tricoleur di cui molti di noi sono lontani nipotini. Odio i luoghi comuni ma rispetto profondamente i simboli. Non sono la stessa cosa: i luoghi comuni sono uno sciroppo di melassa; i simboli sono un prezioso distillato, o un mortale veleno. Dipende da chi li sbandiera. A questo pensavo” scrive Angelo. Un amico come Franco Tanel, che ci ha regalato questa ed altre belle foto.
Mi piacerebbe che ci ritrovassimo per riflettere, tra un anno, sotto quella trave, e che magari scoprissimo che siamo stati, in questi dodici mesi, giornalisti un po’ più coraggiosi e un po’ più irriverenti.

Alberto Gottardo