Piero Ruzzante lascia il Pd per Democratici Progressisti

 

Finisce una storia lunga 40 anni: quella di Piero Ruzzante, ex golden boy cresciuto al fianco se non sotto l’ala, di Flavio Zanonato. Fecero in tempo entrambi ad essere consiglieri comunali del Partito comunista nel secolo scorso. Poi entrambi fianco a fianco nei Ds e nella costruzione prima dell’Ulivo e poi del Pd. Ora Ruzzante anticipa una mossa che a breve probabilmente farà anche il suo maestro, quella di uscire dal Partito Democratico per portare armi e bagagli nel buovo soggetto presentato da Speranza e gli altri scissionisti di sinistra. Qui riportiamo il lungo messaggio che Ruzzante ha scritto su facebook.
Lasciare il Partito Democratico è una scelta sofferta, che mette in discussione decenni di militanza, di passione e di condivisione di una storia. Ma la realtà che ho sotto gli occhi, le domande che ci pone e alle quali non abbiamo saputo né voluto rispondere mi induce a imboccare un’altra strada, nel pieno rispetto della comunità dalla quale provengo.

Voglio sottolinearlo: è la realtà che si impone e determina questa scelta, una realtà di fronte alla quale tanta parte dei dirigenti del PD rifiutano perfino una discussione. Pensiamo alla crescita, debole, che concentra in pochissime mani una grande parte della nuova ricchezza prodotta, lasciando le briciole ai lavoratori. Il lavoro giovanile (quando c’è: la disoccupazione tra le ragazze e i ragazzi ha ormai raggiunto il 40%) è frantumato, precario, povero, e rende difficilissimo uscire dalla casa della propria famiglia, aprire le porte di una vita autonoma, immaginare e costruirsi il futuro. Tantissimi cittadini veneti scelgono l’estero: 10.000 ogni anno, seconda regione italiana per emigrazione, e sono i nostri figli, i nostri nipoti, nella totale indifferenza di Zaia. E quale sarà la realtà tra pochi decenni? L’Italia avrà a che fare con generazioni di pensionati poveri. Ci sarà da reimmaginare le città, mettere in comune beni e servizi, ripensare il modello di coesione sociale. Ma è una realtà faticosa, e allora si preferisce esaltare le sorti magnifiche e progressive di un sistema che non esiste più. Nel frattempo, una sentenza della Cassazione ha considerato legittimo il licenziamento di un lavoratore deciso dall’azienda non per le sue difficoltà economiche, ma per una riorganizzazione che mirava ad aumentare il profitto. Se questa sarà la norma, cosa succederà quando con la robotizzazione diventeranno inutili moltissimi lavori? E poi: due fattorini sono stati licenziati da una App perché hanno osato protestare per un paga di 2 euro a consegna. Prima avevano un salario di 5 euro l’ora. Chiediamoci: la risposta della sinistra può essere l’abolizione dell’articolo 18 e la facilitazione dei licenziamenti collettivi?
Le grandi imprese multinazionali producono poca occupazione ed enormi profitti, che finiscono nelle mani di qualche fortunato azionista lasciando pochi spiccioli di tasse nelle casse di Stati sempre più poveri, che non hanno la possibilità di sostenere le fasce più fragili della popolazione. In questa situazione, di fare investimenti pubblici non se ne parla. Non va meglio per quelli privati: il sistema delle aziende ha ricevuto 40 miliardi di risorse in questi anni da parte dello Stato, restituendone appena 2 in investimenti. C’è qualcosa da rivedere?
Le diseguaglianze, già inaccettabili qualche anno fa, sono ulteriormente cresciute, con la crisi che ha colpito tutti, tranne il vertice della piramide sociale.
Se non è questo il tempo per cambiare, quando arriverà il momento giusto?
Siamo in una fase di ripiegamento della globalizzazione: un fatto enorme. Ma il PD sembra insistere su ricette pensate in un’altra fase storica e da altre culture politiche precarizzando il lavoro e abbassando in modo non progressivo le tasse (come nel caso dell’Imu cancellata anche per i ricchi).
La sinistra ha ceduto culturalmente: il sindacato visto come nemico, i nostri riferimenti sociali (mondo della scuola, lavoro pubblico, lavoro dipendente) trattati come privilegiati, le periferie non più frequentate e sostituite dai salotti buoni dei centri storici, le uniche realtà urbane dove sono cresciuti i voti.
Tante persone, tanti compagni hanno smesso di guardarci come una speranza. Uno straordinario patrimonio di impegno, di passione, di valori è stato indebolito quando non disperso. La grande maggioranza dei giovani non vede più nel PD uno strumento di lotta per una società più giusta.
La questione, a questo punto, non è scegliere se scinderci o meno dal Partito che abbiamo contribuito a fondare. La questione è raggiungere quei compagni e insieme a loro cercare il modo per dare una nuova rappresentanza alle fasce più deboli della società, a chi da solo non ce la fa, alle ragazze e ai ragazzi che desiderano costruire una società che liberi la loro energia.
Mi fermo qui. E vado a riconnettermi con il mio popolo. Con tanti altri abbiamo una fretta diversa rispetto a chi cerca solo “conte” per la propria leadership. E’ la fretta di chi non vuole più lasciare la Destra a fingere di occuparsi dei più deboli, strumentalizzandone le paure contro altri deboli, gli immigrati che scappano dalla fame e dalla guerra e che andrebbero integrati da un Paese ormai al collasso demografico; è la fretta di chi vuole rendere davvero ampio un campo aperto in cui tutti quelli che hanno voglia di battersi per un modello di sviluppo diverso trovino spazio per esprimersi e motivi di passione e di impegno. La fretta di chi è stanco di vedere il centrosinistra afono, incapace di dire qualcosa a chi non ce la fa, se non invocare il debito pubblico per giustificare i tagli allo stato sociale e le regole del mercato per spiegare i licenziamenti.
Con il nuovo movimento ripartiamo dall’articolo 1 della Costituzione: lavoro, giovani, sovranità del popolo.
La sfida è enorme, si tratta di vincere decenni di pensiero unico, di dominio pressoché incontrastato di liberismo. Pensieri e strumenti per vincere sono ancora al centro di una riflessione che riguarda la sinistra in tutto il mondo. Ma trovo giusto iniziare a stare – senza freni – dentro questa parte della Storia.
Ringrazio tutti gli iscritti e i volontari del Partito Democratico, e le colleghe e colleghi del Gruppo regionale del Partito Democratico: con voi ho condiviso gioie e dolori, e ho lavorato benissimo.
Rassegno le dimissioni da Vice Presidente del gruppo PD ed entro nel Gruppo Misto, formando la componente “Articolo 1 – Movimento Democratici e Progressisti”. Qui continuerà ovviamente il mio lavoro all’opposizione della Lega e di Zaia.
Buon lavoro e buone cose a tutti noi. Al lavoro e alla lotta.
Piero Ruzzante
Consigliere Regionale
Articolo 1- Movimento Democratici e Progressisti