Quando la malvagità esplose a Padova: un racconto ancora attuale

 

Manuela Dviri Norsa, padovana d’Israele, nel suo bel libro, Un mondo senza noi, ed. Piemme, 2015, parla della sua famiglia e anche di noi, della nostra città.
Racconta dei suoi lontani parenti venuti dall’antica Ragusa (ora Dubrovnik), di ciò che accadde nel 1938 con la promulgazione delle leggi razziali, fino al 1945, alla liberazione e infine alla sua partenza per Israele.
E’ un racconto che in qualche modo ci riguarda: attraverso le ricerche e le testimonianze dei suoi parenti, dalle finestre della casa di via Manin, Manuela ci fa riflettere sul nostro conformismo, sui silenzi del mondo della cultura e della borghesia padovana, su quel girarsi dall’altra parte per convenienza e quieto vivere che hanno caratterizzato quegli anni drammatici, culminati con le deportazioni e con la morte di milioni di ebrei, soldati, rom, omosessuali, handicappati.

“La storia della persecuzione razziale è prima di tutto una storia fatta di parole, di liste apparentemente innocue di dati anagrafici. Ma quelle parole e quelle liste apparentemente innocue furono, sette anni dopo, la differenza tra il diritto alla vita e la condanna alla morte”, racconta la Dviri. Ed è questa la parte più sconvolgente e drammaticamente attuale: l’inizio di uno dei più brutti periodi della storia d’Italia si svolge con ‘normalità’, con semplici e apparentemente innocui elenchi, con una legge vergognosa che giorno per giorno viene applicata alle scuole, alle università, al mondo del lavoro, ai luoghi di soggiorno, ecc., per poi arrivare alla tragedia finale. Così, gli elenchi, da fogli di carta stilati con pedissequa obbedienza dalle istituzioni e perfezionati dai delatori, diventano infine il pass per entrare nei vagoni che porteranno alla morte nei lager nazisti, passando per i campi di concentramento italiani.
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