Admo e la speranza in una goccia di sangue e il sentimento, un po’ ridicolo, di sentirsi un eroe

 

Pochi giorni dopo aver compiuto 18 anni una mattina di maggio del prutroppo ormai lontano 1994 ho fatto tre cose: mi sono iscritto all’Avis e all’Admo nella vecchia sede di via Trieste, e ho dato il mio assenso ad essere donatore dell’Admo. A quest’ultima causa spero di contribuire il più tardi possibile, per evidenti motivi. All’Avis ho donato quanto più sangue ho potuto, visto che il mio, Zero negativo, è particolarmente raro e importante. Questa mattina ho avuto il privilegio di poter accendere una speranza, per il momento ancora fioca, nel cuore di una persona che chissà dove nel mondo, sta lottando per sopravvivere ad una forma di leucemia. La speranza sta nel mio codice genetico, finora identico a quello di questo malato, che ha una possibilità su centomila di trovare un donatore di midollo osseo o di cellule staminali al di là della cerchia familiare. Non so come finirà questa avventura: spero bene, e cioè spero di finire su un letto operatorio, sedato, a donare un po’ di me ad una persona che senza, morirebbe. Darebbe un po’ più di senso a questo mio passaggio su questo mondo, un po’ come ne ha dato moltissimo la nascita delle mie due stelle, le mie due bambine a cui forse un giorno potrò raccontare di avere un gemello genetico in giro per il mondo. Se la donazione andrà a buon fine, non saprò mai comunque chi sia, se sia un uomo o una donna, un vecchio o un bambino: oggi questa persona per cui spero di poter essere utile, mi ha regalato un sogno, quello di sentirmi, per un attimo e per cause sostanzialmente casuali, un po’ un eroe, uno che salva una vita. E non è nemmeno difficile: bastano poche gocce di sangue e due firme su un modulo.

Alberto Gottardo .