A pranzo in carcere a Padova, con un bel po’ di sorprese

 

Ci sono tante cose per cui andare fieri di essere padovani: il respiro internazionale dell’università, la carica di solidarietà e misticismo del Santo, la bellezza del palazzo della Ragione e delle piazze, la maestosità del Prato della Valle. Sono simboli, visibili, sono lì da secoli. Ce ne sono di nuovi, come la nuova Torre della ricerca, che sarà la casa della Fondazione città della Speranza: lì nel torrione a forma di Dna immaginato e donato da Portoghesi lavoreranno a regime 400 ricercatori, con la missione di salvare vite, specie quelle dei bambini aggrediti dalle varie forme di leucemia.
Altre vite vengono salvate in un posto in cui uno non se lo immagina: al carcere di via Due palazzi. Venerdì il comitato della Cena di Santa Lucia (clicca qui per saperne di più) ha aperto le porte del carcere ad una cinquantina di amici dell’associazione presieduta da Graziano Debellini, per raccontare cosa succede dentro il Due Palazzi. Succede chiaramente che lì chi ha compiuto delitti, è stato protagonista di violenze ed omicidi sconta la sua pena. E’ dietro alle sbarre. Ed è giusto così, sia chiaro. Ma è anche giusto che a chi lo merita venga data una seconda opportunità, ed è quello che fanno gli operatori del consorzio di cooperative Rebus, guidati da Nicola Boscoletto, una delle persone più capaci di sognare e lottare per il bene comune che io abbia mai conosciuto. Boscoletto ha raccontato alla delegazione in visita al carcere come funzionano i vari settori di lavoro del carcere. Al Due Palazzi i detenuti assemblano le valigie Roncato, le biciclette di alta gamma per la torpado, rispondono al centro unico prenotazioni e danno consigli, gentilissimi per quanto ho potuto ascoltare, alle signore che devono prenotare le visite di controllo negli ospedali del Veneto. I detenuti del carcere Due palazzi imparano un mestiere. “E la recidiva si abbatte a un quinto” spiega sempre Nicola Boscoletto. Vuol dire, tradotto dal linguaggio della burocrazia, che senza un lavoro, di 5 che entrano in carcere e ne escono dopo tre anni, quattro vi ritorneranno perchè hanno continuato a fare i delinquenti. Se gli dai un lavoro, di quei quattro, tre si salvano, e continuano a lavorare anche fuori dalla casa di reclusione. Tanti fanno i pasticceri. I dolci di Giotto (link esterno) sono talmente buoni – assicura Boscoletto, che anche il papa li usa per i regali a Natale. Leggende del marketing a parte, i panettoni e le colombe hanno vinto dei premi, e sono oggettivamente deliziosi.
Tra i componenti della delegazione guidata da Graziano Debellini c’era mezza Padova che conta, tra dirigenti di banche, industriali e dirigenti delle associazioni di categoria al gran completo. C’erano anche due persone che ammiro: padre Enzo, rettore del Santo, e suor Lia delle cucine popolari. Padre Enzo è incredibile: i carcerati li conosce tutti, e tutti lo abbracciavano con affetto. Ha ricordato durante il pranzo quanto Sant’Antonio fosse vicino ai detenuti, di quanto si sia battuto per evitare che si finisse in galera per debiti. Credo che se fosse arrivato a Padova nel 2012 invece che 800 anni prima, quel frate portoghese dal carisma straordinario, forse avrebbe fatto il volontario al Due palazzi. Ed allora io che sono fiero di essere padovano, che credo che “e cupoe del Santo fa ciaro a sta città”, credo che una bella luce di speranza arrivi anche dal carcere. Grazie a gente come Nicola Boscoletto, che in un periodo in cui tutti sono forcaioli, salva la vita a molti carcerati, regalandogli attraverso il lavoro, la speranza.

Alberto Gottardo