Accoglienza e solidarietà a Padova: martedì incontro al Santo

 

Martedì 17 marzo, alle 20.45, al Santo, Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio missionario giovani) e dell’Arsenale della pace, racconterà la sua pionieristica esperienza, iniziata nel 1964 a Torino, nell’accogliere giovani stranieri, migranti e in stato di disagio sociale, senza nome e identità. L’incontro dal titolo “Ero straniero, migrante, ero nessuno” è moderato da Francesco Moschetti, docente all’università di Padova, ed è il quarto appuntamento di riflessione quaresimale organizzato quest’anno da Basilica del Santo, Corsia del Santo e Basilica di santa Giustina.
«Olivero, a vederlo e sentirlo, può sembrare un sacerdote – racconta padre Francesco Ruffato del convento del Santo – Invece è un laico, padre di famiglia, cristiano comune. Un ex bancario che lasciò la professione per fondare il Sermig, con l’aiuto di sua moglie e di un gruppo di giovani, e concretizzare un “sogno”: collaborare a eliminare la fame e le grandi ingiustizie del mondo. È diventato un’attrattiva in particolare per i giovani della strada e della “periferia esistenziale”».
Il suo “sogno” nel 1993 si è concretizzato nell’Arsenale della pace di Torino, un vecchio arsenale militare trasformato da Olivero in una sorta di “monastero metropolitano” laico, abitato da una fraternità che vive nella preghiera e nel servizio ai giovani più poveri 24 ore su 24 e che oggi ha aperto le sue porte anche a San Paolo del Brasile, in Giordania e in altri paesi martoriati da guerra e violenza. Finanziato per il 93% da privati, il Sermig fino a oggi ha offerto 13.000.000 di ricoveri notturni a senza tetto, distribuito oltre 20.000.000 di pasti, curato 64.000 persone (in media 70 visite mediche ambulatoriali al giorno), svolto 77 missioni di pace in Polonia, Rwanda, Somalia, Libano, Betlemme, Iraq, Bosnia, Kurdistan, solo per citarne alcune.
Olivero è diventato una guida spirituale anche per moltissimi giovani del Triveneto. Nella sua recente “Lettera alla coscienza” scrive di come superare la “globalità della indifferenza”. «Stiamo vivendo uno dei momenti più difficili della storia. La tragedia bussa ogni giorno alla porta della nostra umanità, del nostro cuore, della nostra intelligenza. Intorno a noi abita un odio più forte di mille bombe atomiche… Restiamo indifferenti di fronte a chi viene ucciso per la propria fede e per i propri ideali, non siamo capaci di contrastare chi continua ad alimentare senza scrupoli il mercato delle armi e del terrorismo… Serve la debolezza dei giovani senza potere, i più poveri di tutti, i più sfruttati, perché Dio da sempre scommette sui piccoli».