Buoni pasto insostenibili: L’Appe Padova scrive al premier Renzi

 

Il presidente di Appe Padova Erminio Alajmo e il segretario Filippo Segato firmano una accorata lettera appello al premier Renzi perchè il governo intervenga per regolare la giungla dei buoni pasto. Qui di seguito il testo dell’appello:
Con la presente riteniamo opportuno informarvi su una problematica che, attualmente, colpisce i pubblici esercizi ma che, entro breve termine, potrebbe riguardare i consumatori finali, in quanto utilizzatori di buoni pasto.
Attraverso la consegna ai propri dipendenti dei “ticket” cartacei (o, in misura minore, smart card elettroniche), i datori di lavoro allestiscono il cosiddetto “servizio sostitutivo di mensa”, dando la possibilità ai lavoratori di usufruire di una rete di esercizi convenzionati (pubblici esercizi, attività artigianali del settore alimentare, supermercati, negozi di alimentari)

La “catena” del mercato dei buoni pasto, che genera in Italia un volume d’affari annuo stimato in 2,5 miliardi di euro, è composta da quattro “anelli”: la ditta emettitrice, che fisicamente stampa i buoni e li mette in vendita; il datore di lavoro, che li acquista e li distribuisce ai propri dipendenti; i dipendenti stessi, che li utilizzano per la pausa pranzo; l’esercente, che li ritira, svolge il servizio di ristorazione e poi se li fa rimborsare dalla ditta emettitrice.
Il meccanismo descritto, soprattutto nei primi anni, funzionava in modo corretto e utile per tutti. Le commissioni a carico degli esercenti erano minime (nell’ordine dell’1-2%) e consentivano alle ditte emettitrici di avere il giusto guadagno per il loro servizio.

I primi problemi sono sorti quando i datori di lavoro si sono resi conto che avrebbero potuto trarre un guadagno dai buoni pasto: in pratica, hanno scoperto che, mettendo in competizione le ditte emettitrici, avrebbero potuto acquistare i buoni ad un costo inferiore (fino al 20%!) di quello nominale stampato sul buono stesso.
Il datore di lavoro ha un guadagno, che matura consegnando al dipendente un buono con scritto, ad esempio, cinque euro, ma pagato in realtà molto meno. Il dipendente, inconsapevole di questo artificio, ritiene di avere un buono del valore pari a quello facciale e pretende di poterlo spendere negli esercizi convenzionati. Le ditte emettitrici recuperano lo sconto concesso ai datori di lavoro, applicando costi e commissioni sempre più alti agli esercenti.
L’unico “anello della catena” che paga per tutti è l’esercente: colui che svolge un servizio per gli ipotetici cinque euro ma, in realtà, ne incassa molti meno. Tra l’altro, per poter incassare gli importi di cui vanta il credito, l’esercente deve suddividere i buoni in base alle diverse ditte emettitrici, in base alla tipologia di buono, in base agli importi nominali e, poi, conteggiarli, fatturarli e spedirli. L’accredito delle somme spettanti, dopo lo scorporo dell’Iva e delle “commissioni” dovute (fino al 12%, ma la tendenza è al rialzo) avviene mediamente dopo 45-60 giorni (ma con punte fino a 90 giorni) dalla spedizione dei buoni assieme alla fattura.

Occorre inoltre tenere presente che, oltre alle suddette “commissioni” che l’esercente deve riconoscere alle ditte emettitrici, vi sono oneri per il conteggio, la fatturazione e la spedizione dei buoni pasto tramite “lettera assicurata”, nonché i costi aggiuntivi per i fantomatici servizi come “rinnovo contratto” o “gestione fatture” imposti da talune aziende emettitrici, oltre alle perdite economiche derivanti dal ritiro di eventuali buoni pasto scaduti o falsificati che, ovviamente, non vengono rimborsati.
È giusto ricordare che, in quanto “servizio sostitutivo di mensa”, i buoni pasto godono di un’esenzione previdenziale (fino a 5,29 euro), non concorrono a formare reddito e sono interamente deducibili IRES, IRAP e, infine, l’IVA è interamente detraibile per l’azienda che li acquista. In realtà, sempre più spesso i buoni pasto non vengono utilizzati per la prevista pausa pranzo, quanto piuttosto per effettuare acquisti che nulla hanno a che vedere con il “servizio mensa” come, ad esempio, fare la spesa al supermercato, acquistare la pizza per asporto alla sera o altro. Inoltre, pur essendo nominativi, gli stessi vengono spesso ceduti dal padre al figlio, passati (o, peggio, rivenduti) tra colleghi, monetizzati in tutti i modi immaginabili.

Sono tutti comportamenti che confermano come, ormai, i buoni pasto stanno assumendo le caratteristiche quasi di una “moneta alternativa”, distorcendo completamente le finalità per le quali erano stati originariamente ideati e realizzati.
Di fronte a questi fenomeni e, soprattutto, di fronte alle continue e ormai insostenibili commissioni che si vedono applicare (a volte anche unilateralmente), gli esercenti pubblici esercizi stanno reagendo in modo forte, con energiche proteste che prevedono l’applicazione di una percentuale per i pagamenti effettuati con buoni pasto, il rifiuto di accettare taluni tipi di buoni, la “serrata” contro le ditte emettitrici.
Di fronte a queste manifestazioni di forte disagio, in qualità di maggiore Associazione di categoria del settore dei pubblici esercizi della provincia di Padova, riteniamo che gli esercenti meritino il dovuto ascolto da parte delle Autorità, dei rappresentanti dei lavoratori e dei consumatori, soprattutto in considerazione che, come abbiamo sopra spiegato, sono gli esercenti gli unici a pagare per un meccanismo che, nel tempo, ha subìto delle distorsioni intollerabili.

Alle Autorità in indirizzo chiediamo di attivarsi per cercare la soluzione a un problema che riguarda, in tutta Italia, almeno 150.000 imprese tra pubblici esercizi, attività artigianali e commerciali del settore alimentare.
Ai rappresentanti dei lavoratori e dei consumatori chiediamo di sensibilizzare i propri aderenti, affinché riportino presso i datori di lavoro le difficoltà di un settore, quello dei pubblici esercizi, che al momento funge da vero e proprio “ammortizzatore” tra gli sconti ottenuti dai datori di lavoro e le legittime richieste dei lavoratori/clienti.
Riteniamo che, attraverso le tecnologie che attualmente sono facilmente disponibili, sia possibile sostituire i buoni pasto cartacei con delle semplici smart card che possano essere utilizzate solo durante l’orario di pausa pranzo e solo nei giorni in cui i lavoratori sono effettivamente presenti al lavoro, consentendo al datore di lavoro un controllo preciso e il pagamento dei pasti effettivamente consumati. Questo sistema viene già utilizzato da (poche) pubbliche amministrazioni locali e consente all’esercente di risparmiare tutto l’oneroso lavoro di suddivisione, conteggio e fatturazione.

Siamo a disposizione per qualsiasi chiarimento sull’argomento e, in attesa di un cortese riscontro alla presente, porgiamo i più distinti saluti.