Ivo Rossi analizza il caso Brunetti “A Padova la politica è entrata in caserma”

 

Anche se si tratta di un fatto di per sé di scarso rilievo – se non per la dignità della persona coinvolta – la vicenda dell’assessore Brunetti, che apprende solo in Consiglio comunale di essere stata spogliata dal sindaco delle deleghe ricevute solo un anno fa, merita una riflessione su come stia cambiando la politica, sul ruolo della collegialità e su quello della giunta comunale. Le modalità della comunicazione (davanti a tutti e senza che l’interessato ne fosse stato preventivamente messo a conoscenza) mostrano uno stile nuovo, probabilmente barbaro sul piano dei rapporti umani, ma che conferma la modalità di comando politico assoluto visto in questi mesi. In sostanza, il sindaco ha voluto affermare pubblicamente all’assessore la sfiducia nei suoi confronti e l’ha fatto volutamente in modo plateale, ricordando, non solo a lei ma a tutti i suoi assessori, da dove deriva la loro legittimazione. Abituati ad un’altra stagione, di fronte ad una così marcata delegittimazione, ci si sarebbe aspettato un gesto di orgoglio e di tutela della dignità personale dell’assessore, con conseguenti dimissioni.
Non è avvenuto, né poteva avvenire perché, probabilmente, sia l’interessata sia tutti gli altri suoi colleghi sono consapevoli del ruolo di impiegati d’ordine che sono stati chiamati a svolgere. Pronti ad abbassare lo sguardo e a dire signorsì coscienti di trovarsi in quel ruolo per grazia ricevuta e non per una soggettività politica riconosciuta. Che si trattasse di un’interpretazione subalterna del ruolo lo si era già visto con l’introduzione delle riunioni settimanali dei dirigenti affidate al capo di gabinetto, vero mandatario della linea sindacale. Ovviamente, incontri senza assessori. Oppure con la scelta di esautorare qualche assessore attraverso la chiamata di fidatissimi dirigenti esterni, interpreti e tramite unico con il capo. Oppure, ancora, nelle bocche cucite di fronte alla stampa di tutti questi assessori fantasma, abilitati a parlare solo dopo aver avuto il via libera da parte del portavoce, interprete della linea a cui tutti sono consegnati.
Siamo dunque in presenza di una nuova modalità di esercizio assoluto del potere, che non può essere derubricato a maleducazione istituzionale. Una modalità che ci interroga perché invece durante la lunga stagione del centro sinistra la “collegialità temperata” e il riconoscimento di un ruolo politico degli assessori è stata la modalità attraverso cui le diverse anime e sensibilità hanno potuto concorrere al governo. Si tratta di due stili radicalmente diversi, sia all’interno del governo, sia nel rapporto con la città; uno stile, il nostro, che mirava ad includere e ad allargare, mentre quello di oggi è a separare, a costruire nemici contro cui combattere. Lo si vede anche nel governo delle società partecipate. Oggi vengono collocati amici fidati pescati prevalentemente fuori dalla città, mentre in precedenza queste nomine tendevano ad includere settori e categorie sociali che avevano qualcosa da dire per la crescita della città. Insomma, oggi sembra prevalere l’unico criterio della fedeltà assoluta rispetto alle competenze e all’inclusione, uno stile barbaro e volgare, oserei dire dispotico che nel lungo periodo provocherà seri danni alla nostra comunità cittadina.
Ma, ai fini di un ragionamento nelle file del centro sinistra, quello che mi interessa analizzare è se la collegialità che abbiamo usato abbia sempre funzionato, oppure mostrasse dei limiti a causa della scarsa lealtà di taluni. In troppe occasioni qualche assessore ha agito come se si trattasse di un soggetto autonomo che rispondeva alle proprie ambizioni e a suoi personalissimi progetti. Tante volte il confessionale dei giornalisti era diventato il luogo del pettegolezzo, ripagato con qualche ‘fotina’, che finiva per mettere in difficoltà la squadra. Non sono nemmeno mancati plateali prese di distanza di taluni nei confronti dello stesso sindaco.
Fra la fedeltà assoluta richiesta dall’attuale stile dittatoriale, più da caserma che da assemblea di rappresentanti della città, all’anarchia della parola e degli obiettivi, che troppo spesso hanno caratterizzato e caratterizzano lo stile del centro sinistra, è probabile vada aperta una riflessione, con un dibattito franco sul passato e sul presente, ricostruendo una squadra vera, consapevole delle sfide che ha di fronte per il bene della città e dove l’unità non sia solo una parola, come accade oggi, di circostanza.

Ivo Rossi
Padova 3 luglio 2015