Mario Adinolfi racconta, a modo suo, cinquant’anni di terrorismo. “Sto dalla parte delle vittime che nessuno ricorda più”

 

Una trentina di persone hanno partecipato questo pomeriggio alla presentazione del libro “Storia del terrorismo in Italia, l’oblio delle vittime e il potere dei carnefici”.
“Noi siamo quelle persone che hanno deciso di battersi affinchè una visione antropoligica terrificante, che ha deciso di trasformare le persone in cose, non passi. una generazione, la nostra, è chiamata a combattere questa “reificazione” della persona umana. Veniamo dalla battaglia per Alfie Ewans – ha esordito Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia -, una storia che si riconduce ad una dimensione di morte, ma non sono singoli casi sporadici, ma si tratta di pezzi di un disegno ampio che passa dai media ai tribunali ed ai centri di potere dove si governa e si legifera”.

Adinolfi parla, in una sala semivuota ma molto attenta, di Barbara Balzerani, della strage di Moro, del 16 marzo 2018, ospite di un centro sociale di Firenze, che dice “C’è una figura, la vittima, che è diventata un mestiere. questa figura stramba, per cui la vittima ha il monopolio della parola”.

Ricorda poi Vittorio Bachelet, uno dei “500 martiri”, magistrati che dicevano “non datemi la scorta perché sennò ammazzano anche i ragazzi della scorta” e di Bachelet come di altri non abbiamo memoria.

“Padova è la città del primo eccidio delle Brigate Rosse – spiega Adinolfi -, viene ucciso un ragazzo di neanche 30 anni e un signore di 60 anni. Un rugbista, Graziano Giralucci, e Pietro Mazzola, questi i nomi, dovrebbero rimanere nella storia. Eppure vengono rimossi per molti anni.
Da Padova iniziarono nel 1974 gli omicidi delle Brigate Rosse. Il volantino di rivendicazione fu scritto da Renato Curcio. Di lui sì ci ricordiamo, ne conosciamo le fattezze. Lui fa l’editore, gli assassini sono liberi, nessuno ricorda le vittime”.

Ricorda poi Marco Biagi, ucciso nel giorno di san Giuseppe del 2002. Non ci ricordiamo niente, il 19 marzo del 2018 gli hanno scritto sotto casa “10, 100, 1000 Marco Biagi” e non ce ne siamo manco accorti. Stessa cosa per la lapide di via Fani, imbrattato dalla scritta “Brigate Rosse”. Siamo molto lontani dal comprendere che senza evidenziare la radice di un intero movimento, che ha contribuito negli anni a reificare la persona umana, non arriviamo a comprendere cosa sta succedendo in questi anni”.

E poi via elencando i fatti ormai remoti di un’Italia che affonda le proprie radici negli scontri di Valle Giulia, Pasolini e la sua espulsione dal partito comunista. Ricorda Antonio Annarumma, il funerale del poliziotto, Luigi Calabresi, papà di due bambini con la moglie incinta. Scriveva Calabresi “solo la fede in Cristo mi permette di sopportare tutto questo” e ricorda Lotta Continua et similia. E’ un racconto di parte, ma è comunque ben documentato, e sottiene la tesi che “la lettura di quei fatti oggi viene fatta da parte di chi ha ucciso Moro: quei terroristi fanno parte di un album di famiglia, dello stesso brodo di cultura”.

Conclude Adinolfi: “Se non riusciremo a dimostrare che quei valori che mossero i terroristi non valevano nulla, un prometeismo disastroso che ha portato a una lunghissima scia di sangue”.