Il Partito dei Veneti: il primo passo è nella giusta direzione, il cammino è tutto in salita ma ho visto gente tosta

 

“Vieni tu a presentare il convegno di fondazione del Partito dei Veneti”?
“Sì, perchè no. Sono curioso”. Sono sempre stato curioso di vedere cosa capita nei mondi che non frequento abitualmente. E’ quella curiosità che mi ha portato per tanti anni a frequentare postacci da cronista di strada, e forse è proprio quella curiosità che mi ha portato a costruire un pezzo di vita con una donna che arriva dal nuovo mondo. E così ho detto di sì, senza chiedere nulla a un vecchio amico che, mi ha confessato in seguito, si aspettava un “mavacagare”. E sono arrivato al PalaGeox un’ora e mezza prima dell’inizio dell’evento. Volevo capire chi avevo davanti prima che i fari in faccia e il buio in sala non ti facessero manco più percepire di avere davanti un migliaio di persone, che se ci pensi sul serio, su quel palco non ci saliresti mai. Ho visto il Veneto profondo, quello che lavora dalle 4 di mattina in capannone, come il mitico Toni Costalunga da Schio, che spesso mi racconta il suo punto di vista durante le mattine su Radio Cafè. Ho reincontrato un caro amico, Bobo Sartore, che fino a qualche anno fa consegnava il latte la mattina prima dell’alba e che sta portando avanti una battaglia matta e coraggiosa per il riconoscimento della lingua veneta, ho salutato Santino Bozza e Paola Goisis, vecchie volpi della bassa padovana, che se ci sono loro, vuol dire che qualcosa si sta muovendo davvero. C’era Alessio Morosin, che cinque anni fa mise in campo un centinaio di volontari nella battaglia impossibile contro le due corazzate Luca Zaia e Alessandra Moretti e l’incursore Flavio Tosi: lui con la sua barchetta a remi venne travolto, ma offrì con fierezza il suo nome per tenere accesa una fiammella che ieri pomeriggio al PalaGeox brillava un bel po’. Quando ho visto la scaletta degli interventi mi è venuto un mezzo coccolone: 18 persone iscritte a parlare, un incubo. Ed invece sono state tre ore durante cui non è volata una mosca, con almeno un centinaio di persone rimaste eroicamente in piedi tutto il tempo, con momenti di grande emozione, come quando quel consumato oratore di Lucio Chiavegato ha chiamato ad alzarsi tra il pubblico un reduce della folle incursione dei serenissimi del Tanko di piazza San Marco, e anche di stupore, quando a prendersi gli applausi, dopo qualche mugugno iniziale, è salito sul palco il leader veneto del Movimento 5 stelle Jacopo Berti.
E la vera sorpresa sono stati i giovani, donne e uomini già impegnati in politica a Tombolo come a Treviso o nei comuni della pedemontana veneta, che erano lì a raccontare che c’è una generazione di uomini e donne che vivono nell’Europa unita e in un mondo senza più barriere, ma che non vogliono sacrificare la loro identità e gestire meglio il frutto del proprio lavoro che rischia di andare a Roma senza più tornare indietro. Sono stati loro i protagonisti, trascinati da Giacomo Mirto e da un gruppo di figli di questo secolo che vede nascere a Padova un movimento che non ha nulla a che vedere con la Lega che in questi anni è passata da Roma Ladrona a Roma Padrona.
Ieri sono successe due cose: i leghisti sono andati ad arrendersi ad essere schiavi di un partito nazionale che ha tolto il Nord e il Leone dai propri simboli. E contemporaneamente ne è nato un altro che ha il Veneto nel simbolo e nel cuore. La mia curiosità è stata appagata in pieno, ho visto un popolo che sa da dove viene e sa dove vuole andare. Pochissimo folklore e tantissima sostanza. Antonio Guadagnini ha messo in moto un movimento che nei prossimi mesi potrebbe passare alla storia. Provo molto rispetto nei confronti di questi miei concittadini: per tre ore hanno parlato di futuro più che di passato, di emigrazione dei giovani veneti. Quando in altre piazze si parla solo di barconi e profughi loro hanno iniziato la convention con una giovane padovana che parlava da Sidney. Non chiamateli indipendentisti, chiamateli veneti incazzati. E iniziate a temerli, in uno scenario politico in cui dietro al leader c’è poco o nulla, questi hanno tutta la concretezza degli uomini concreti abituati al lavoro duro ed ai rapporti schietti: se trovano un leader possono davvero andare lontano.
In bocca al lupo amici miei, e ve lo confesso, sentirvi gridare forte “San Marco!” mi ha fatto sussultare.

Alberto Gottardo