Tutto quello che c’è da sapere sulla normativa in merito al CBD in Italia

 

Mai nessuna pianta è stata così oggetto di discussione come la Cannabis sativa, infatti per lunghi anni demonizzata e proibita, si sta nuovamente riaffermando nel panorama italiano e internazionale per le sue innegabili proprietà benefiche e per la sua versatilità, trovando spazio in molti settori industriali. Nonostante contribuisca largamente al risollevamento della situazione economica nazionale, le leggi che la regolamentano sono ancora poco definite, nella maggior parte dei casi lacunose e ambigue. Solo nel 2020, infatti, si è giunti ad una normativa che tenta di fare chiarezza, gettando le basi per leggi future che rendano pienamente giustizia alla Cannabis e all’utilizzo dei suoi principi attivi in totale sicurezza, nonché nell’acquisto dei suoi prodotti in completa serenità. A questo proposito, infatti, esistono numerose piattaforme che commercializzano la Cannabis light, e si può trovare la online la migliore erba legale.

La legge sulla canapa

L’utilizzo della Cannabis, in Italia, è regolamentato dalla legge n. 242 del 2 dicembre 2016, che prevede la possibilità di coltivare la canapa i cui semi rientrano nelle varietà inserite nel catalogo europeo definita canapa industriale – e con una percentuale di THC (Δ9-tetraidrocannabinolo, uno dei principali metaboliti della pianta, con effetti psicotropi) inferiore allo 0,2%.

In realtà, sono tollerate percentuali anche più elevate, ma in ogni caso mai superiori allo 0,6%, in quanto la concentrazione di THC può variare in base alle tipologie di concime utilizzato e alla temperatura. Il limite dello 0,6% è stato imposto dalla comunità scientifica, la quale assicura che in queste concentrazioni, il THC non manifesta i suoi effetti psicotropi.

La legge però lascia un vuoto, perché non menziona assolutamente l’altro grande metabolita della Cannabis, il CBD (acronimo che indica il cannabidiolo, antagonista del THC, di cui compensa gli effetti, avendo, infatti, un’azione calmante).

Poiché la legge 242/16 non ha espressamente vietato la vendita di CBD (o di THC inferiore allo 0,6% peraltro), si sono aperte nuove possibilità commerciali, con il cannabidiolo che ha letteralmente invaso gli store di Cannabis light.

Negli ultimi anni, infatti, sono nati numerosi punti vendita, assolutamente autorizzati, di Marijuana depotenziata (priva di THC, caratterizzata da un’elevata percentuale di CBD), sia fisici che online, confermando il successo del cannabidiolo.

Il CBD ha avuto, e continua ad avere, così tanto successo perché è una sostanza naturale, assolutamente non tossica e con spiccate proprietà benefiche per l’organismo umano. Risulta essere infatti il componente principale di numerosi prodotti, come l’olio di Cannabis.

 

La normativa sul CBD

Nonostante il CBD, e conseguentemente i prodotti da esso derivati, sia così presente nel mercato italiano, la normativa che ne regolamenta la vendita è ancora poco chiara e lascia spazio a diverse interpretazioni, causando così non poche polemiche da parte degli operatori di settore, che il primo ottobre 2020 hanno rischiato grosso.

Con il DM dell’1 ottobre 2020, infatti, il Ministero della Salute aveva tentato di includere il CBD nell’elenco dei medicinali stupefacenti, stroncando di fatto una consistente fetta dell’economia italiana e andando contro non solo alla dichiarazione dell’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), secondo cui il cannabidiolo non è assolutamente da considerarsi uno stupefacente, anzi apporta notevoli benefici psico-fisici, ma addirittura alle disposizioni internazionali.

L’ONU, infatti, aveva deciso che il CBD doveva essere eliminato dalla tabella degli stupefacenti, decisione ripresa nel 2019 anche dalla Corte di Giustizia europea, in una storica sentenza, secondo cui “la commercializzazione di cannabis sativa L e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio, resina ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa non rientra nell’ambito dell’applicazione della Legge 242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto integrano il reato di cui all’art 73, comma 1 e 4 del DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 9 ottobre 1990, n. 309 le condotte

di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei

prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante.”
Per fortuna, il DM del 28 ottobre 2020 aggiusta le cose, il Ministero della Salute fa un passo indietro e il CBD è salvo, non verrà incluso nella lista di medicinali stupefacenti.

 

Utilizzo del CBD in Italia

Avete notato però una cosa? Le varie leggi e disposizioni parlano solo ed esclusivamente di coltivazione e commercio della Cannabis. Nessuna menzione riguardo il suo utilizzo.

In effetti è proprio qui che la normativa italiana ha una lacuna giuridica, perché seppur per un privato cittadino sia possibile procedere tranquillamente all’acquisto, non si capisce come potrebbe poi utilizzarlo. Dunque, la legge italiana che riconosce il cannabidiolo come una sostanza non tossica e non ne punisce l’acquisto, potrebbe però punirne l’utilizzo; in attesa che qualcuno ponga rimedio all’incongruenza, quindi, i cittadini che acquistano legalmente CBD farebbero meglio ad avere sempre a disposizione le fatture d’acquisto, le certificazioni e le etichette da cui si evince come il prodotto sia legale.

Tuttavia, questo non succede quando si parla invece di olio di CBD, che è riconosciuto in ambito alimentare e che, dunque, può essere utilizzato senza limitazioni.

Conclusioni
In conclusione, il CBD certificato in Italia è riconosciuto come sostanza non psicotropa e può tranquillamente essere commercializzato senza rischiare problemi legali. Tuttavia è fondamentale controllare attentamente la piattaforma sulla quale si decide di acquistare questi prodotti, per essere certi della provenienza e che siano effettivamente a norma di legge, ovvero che contengano sotto lo 0,2% di THC.