Saldi a Padova iniziati senza troppo entusiasmo secondo l’Ascom

 

Un primo week end di saldi non proprio all’altezza delle attese per i negozi “tradizionali”. Lo documenta una rilevazione istantanea realizzata questa mattina dall’ufficio studi dell’Ascom Confcommercio di Padova su un campione rappresentativo dell’universo dei negozi di tutta la provincia, l’88 per cento dei quali multimarca ed il 12 per cento monomarca con una maggioranza di esercizi specializzati nell’abbigliamento donna (59%) ed un 16% di abbigliamento unisex.

“Gli intervistati – fa sapere Lara Liverta dell’ufficio studi dell’Ascom – per un 78% sono titolari di un unico punto vendita, il che equivale a dire che i riflettori sono stati puntati su quegli esercizi che per tipologia e struttura meglio si configurano come negozi tradizionali, non tanto nel senso del prodotto, quanto piuttosto dell’organizzazione”.
Ma vediamo di entrare più nel dettaglio.
Purtroppo il 56% degli intervistati ha rilevato un minore afflusso di consumatori che effettivamente hanno acquistato.
“In verità – commenta Franco Pasqualetti, vicepresidente Ascom e presidente di Federmoda Padova – di gente nei negozi ne è entrata molta, ma non sempre il varcare la soglia dell’esercizio ha corrisposto ad un effettivo acquisto”.

Ma se il 56% lamenta una diminuzione, c’è un 16 per cento che dichiara di aver effettivamente venduto di più ed un 28 per cento che ritiene di non aver visto variazioni.
“Ciò che più importa – aggiunge Pasqualetti – è che però ben il 69% di chi ha comprato ha speso meno e solo il 9 per cento ha speso di più con una media scontrino intorno ai 50 euro”.

Infine un dato che può essere molto significativo per comprendere come si stanno orientando i consumatori padovani.
A giudizio degli intervistati dall’ufficio studi dell’Ascom, il 38 per cento, forse memore dell’antico adagio “chi più spende meno spende” ha acquistato di meno ma ha cercato una maggiore qualità, il 9 per cento si è comportato esattamente all’opposto (più capi ma di qualità inferiore), il 53 per cento ha acquistato di meno sia per importo che per qualità.

Ma alla fine cos’hanno comprato?
“Scarpe, abitini, reggiseni, magliette – conclude Liverta – a dimostrazione che si è andati sul necessario”.
In altre parole: più che saldi di fine stagione, acquisti normali a prezzi di saldo. La crisi, evidentemente, non permette di più.
“Ad ogni buon conto – conclude Pasqualetti – al consumatore consigliamo sempre massima attenzione. Ad esempio nei confronti dei “temporary store” negozi che, magari, aprono a luglio per chiudere ad agosto. Ed in caso di contestazione chi li trova più?”