Azionisti Infracom delusi da Abertis: “Vecchie storie nel nuovo Cda”

 

Si è svolta oggi, presso la Camera di Commercio di Padova, la conferenza stampa indetta dall’associazione A.M.I. (Azionisti Minori Infracom), con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’acquisizione del controllo di Infracom da parte della spagnola Abertis: acquisizione che non ha risposto alle attese, in quanto il nuovo CdA, comprende ben quattro componenti su sette espressione della vecchia storia di Infracom che i piccoli azionisti vorrebbero definitivamente archiviare.

Presenti all’incontro Giorgio Bido, presidente AMI, e Luigi Baldan, vice presidente AMI, i quali hanno fatto il punto della situazione, evidenziando il loro disappunto legato soprattutto alla composizione del nuovo Consiglio di Amministrazione di Infracom.

“Avevamo molto sperato nell’arrivo del nuovo socio, – ha sottolineato il dott. Bido – purtroppo però, dopo 15 anni di incerta gestione, la speranza di un cambiamento effettivo è stata completamente disattesa e il nostro entusiasmo smorzato”.

L’acquisizione del controllo di Infracom da parte della Abertis, in forza dell’avvenuto change in capo ad A4 Holding, infatti, era stato da tempo atteso anche da parte degli azionisti minori di Infracom, la società veronese di TLC nata nel 1999 come spin off dell’autostrada Brescia-Padova.

Dopo oltre quindici anni di controllo da parte di soggetti prevalentemente finanziari, con poco o nullo interesse per le enormi potenzialità industriali che la società avrebbe potuto esprimere, finalmente si aspettava che il nuovo socio di controllo, soggetto eminentemente industriale, rispondesse in modo diverso al suo primo approccio con la scelta assembleare di comporre il nuovo CdA di Infracom.

Infatti, con l’assemblea dello scorso 8 settembre, il nuovo CdA della Società, oltre ai tre componenti spagnoli, diretta espressione di Abertis, ha nominato ben quattro componenti espressione del precedente gruppo di controllo, lasciando l’amaro in bocca a quei tanti piccoli soci che si aspettavano che il change fosse più radicale

Sono ancora fresche le ferite subite dai tanti piccoli azionisti di Infracom, quando l’allora socio di maggioranza intervenne con un prestito di 60 milioni di euro per ripianare il deficit di bilancio del 2009, costituendosi però il diritto di considerare il finanziamento “in conto futuro aumento di capitale”.

Quando poi, per ripianare i bilanci del 2010 e 2011, furono utilizzati prima 68 milioni e poi 36 milioni di euro (prelevati dal “fondo sovrapprezzo azioni” a suo tempo costituito con il versamento da parte di quel vasto mondo che aveva creduto in Infracom) sempre il socio di controllo, negò ogni riconoscimento di diritto.

“Il risultato – ha spiegato il vice presidente AMI, Luigi Baldan – fu che, con un successivo aumento di capitale, il valore delle azioni dei soci minori fu polverizzato e il rapporto percentuale fra controllante e minori, che prima era di circa l’80% contro il 20%, è venuto a ricomporsi dal 94% a un umiliante 6%. Un 6% che risulta composto da una qualificata e autorevole rappresentanza del territorio che si estende da Venezia a Milano e che comprende numerosi soggetti pubblici e privati che vanno dalle Camere di Commercio a tanti professionisti, da Comuni a imprenditori grandi e piccoli, da Amministrazioni provinciali alle Associazioni degli Artigiani, dalle Associazioni degli Industriali alle strutture fieristiche”.

E questi soci, inoltre, hanno dovuto assistere ad un quindicennio di improvvida gestione, non certo riconducibile ad un mercato spietato e cattivo (causa che potrebbe in qualche modo indurre alla comprensione), bensì ad una prolungata serie di scelte strategiche del tutto divergenti rispetto al core business di Infracom, che di per sé sarebbe potuto essere di grande successo. Nei confronti di quella vecchia gestione, alcuni azionisti minori, assistiti dall’Avvocato Marielena Verde con studio in Padova, hanno anche presentato presso la Procura della Repubblica di Verona un esposto, di cui si attendono gli sviluppi.

“Ma questo – ha commentato Bido – non è tema per il nuovo socio, dal quale noi ci aspettavamo, sostanzialmente, due importanti segnali. Il primo, che il nuovo CdA di Infracom, determinato con tre figure spagnole e ben quattro componenti riconducibili al precedente establishment, rappresentasse una più netta cesura con quel passato che tanti dispiaceri ha prodotto in questo territorio, già da altri soggetti massacrato in tante figure di risparmiatori. Il secondo,di accogliere l’invito tempestivamente rivolto al nuovo azionista di inserire nel CdA, con la nuova scelta assembleare, una rappresentanza dell’Associazione degli azionisti minori”.

Questo era atteso non tanto per un banale contentino estetico, quanto per offrire alla nuova proprietà la diretta collaborazione a quella fondamentale ricostruzione del valore che Infracom merita di avere come esclusivo interesse dei suoi amministratori, a beneficio di tutta la compagine sociale e a pur tardivo risarcimento dei soci minori: unici ad avere acquistato le azioni nel 2000 ad un prezzo stellare, mai remunerato in ben tre lustri.