Cambia il regolamento del Consiglio comunale: Ivo Rossi analizza “l’ottusità di chi non accetta il contraddittorio”

 

A poco meno di un anno dall’insediamento, l’amministrazione di un Palazzo Moroni sempre più trasformato in un fortino chiuso e impenetrabile, si accinge a cambiare frettolosamente il regolamento del Consiglio Comunale. Si tratta di modifiche che qualcuno potrebbe derubricare come per addetti ai lavori, o di rilievo apparentemente non decisivo. Infatti si sta parlando di riduzione dei tempi di discussione degli argomenti e delle azioni ispettive, di eliminazione di alcuni strumenti quali la cosiddetta mozione incidentale e la verifica del numero legale nel corso della discussione, che, sullo sfondo, puntano a sterilizzare l’organo di rappresentanza dei cittadini trasformandolo in un piccolo teatrino addomesticato ed insignificante.
In gioco allora non sono tanto delle regole astratte quanto il valore dell’istituzione Consiglio quale sede del confronto, luogo della rappresentanza e della tutela degli interessi. Insomma, la sede della democrazia cittadina che resiste, in forme diverse, dalla promulgazione del primo statuto nel 1137. La nostra città è quel che è proprio per questo orgoglio municipale, questa capacità di autogoverno, che le ha consentito di crescere in piena stagione dei liberi Comuni, ed è stata capace di sopravvivere anche ai “tiranni”.
Senza voler considerare lo strumento attuale un intoccabile tabù, è del tutto evidente che la modifica regolamentare nasce allo scopo di mettere ai margini la minoranza, ridurne la voce, cancellare almeno metà città, eliminare il fastidio di dover fornire risposte argomentate in un ambito pubblico. La tendenza è quella di costruire un rapporto diretto, privo del contraddittorio, perché il contraddittorio magari può smentirti. E’ se uno viene smentito, come si è visto in varie occasioni in questi mesi, perde la lucidità, non riesce a controllarsi, mostra un’immagine di se che è lontana da quella che, ad uso del popolo, vorrebbe fosse percepita.
Non è un fatto nuovo. E’ una tentazione che le maggioranze spesso hanno, ma quelle che ci provano sono generalmente quelle con vocazioni autoritarie, poco inclini all’esercizio della democrazia.
Essendomi trovato fino ad un anno fa, e per dieci anni, al governo della città, dunque nella condizione di maggioranza, devo dire che mai ci è passato per l’anticamera del cervello di modificare il regolamento per evitare di sentire il fastidioso e spesso petulante intervento di qualche oppositore. Quante volte abbiamo dovuto sorbirci gli sgangherati e spesso sgraziati interventi di Grigoletto, o quelli legulei di Cavatton, che facendo appello all’incidentalità, apriva discussioni oziose e disancorate dal merito. Quante volte abbiamo dovuto vedere consiglieri di maggioranza oggi, ieri di opposizione, chiedere la verifica del numero legale per far saltare la seduta. Quante volte è capitato che la verifica del numero legale, usato come strumento “contro”, indipendentemente dal merito delle scelte, ha portato a inutili quanto costose nuove sedute del Consiglio Comunale.
Non nascondo certo il fastidio che provavamo per l’inutilità e la perdita di tempo a cui ci costringevano, ma non per questo abbiamo mai pensato di chiuder loro la bocca.
Insomma, questo regolamento, vissuto quando stavamo dall’altra parte della barricata non ci ha impedito di governare né di assumere decisioni importanti, e quando siamo “andati sotto” è perché talvolta una parte della maggioranza usava l’assenza come strumento di pressione. Ma anche questo fa parte della dialettica politica che non dovrebbe mai spaventare, anche se dovrebbe essere usata con intelligenza. Il silenziatore al Consiglio è dunque la scorciatoia per chi, privo di autorevolezza, può confidare solo in una concezione autoritaria del potere. E’ un atto che si accompagna allo strisciante occultamento o mascheramento delle carte (grazie alla complicità di qualche dirigente particolarmente servile). E’ un atto che trova nella chiusura di Palazzo Moroni, come mai era accaduto, la rappresentazione plastica di un potere sempre più separato, arroccato e con la sindrome dell’assedio. Nei dieci anni passati a Palazzo Moroni non ho mai avvertito alcuna necessità di chiuderci per difenderci dai cittadini. Non ce n’è mai stato bisogno perché il rapporto con i cittadini, ancorché vivace o problematico, è un potentissimo antidoto all’insorgere di pericolosi deliri di onnipotenza che può colpire chi siede sugli scranni del palazzo.
Insomma, siamo in presenza di un salto di qualità nella involuzione della nostra democrazia cittadina, che però non fa i conti con l’informazione ai tempi di internet, alla maggiore capacità di distinguere da parte dei cittadini. Come la linea Maginot non servì a bloccare l’invasione perché fu aggirata, così questa modifica avrà come affetto quello di mostrare, una volta di più, l’ottusità di un potere separato, consapevole che è finito il credito delle promesse non mantenute e che è già arrivato il tempo del conto.

Ivo Rossi
Padova 20 febbraio 2015