Crollo del ponte autostradale a Genova: quella lunga (auto)strada di schèi che porta in Veneto

 

La storia del crollo di Genova è una storia triste e porta dritto dritto ad una storia veneta raccontata spesso come un miracolo, ma che rischia di finire in incubo. Sembrava un sogno quello dei padroni di quel tratto di autostrada. Perchè quel pezzo dell’A10  è di proprietà di Atlantia, società quotata controllata come azionista di maggioranza da Sintonia S.A.: la finanziaria  lussemburghese controllata dalla holding Edizione della famiglia Benetton che si occupa principalmente di infrastrutture e  servizi per la mobilità e la comunicazione. Insomma, quell’autostrada è dei Benetton.
Atlantia nell’esercizio appena passato ha avuto oltre 5 miliardi di euro di ricavi.
Gli investimenti per la sicurezza del tratto di A10 crollato erano in fase di approvazione.
C’è da scommettere che la morte di una ventina di persone (bilancio ancora provvisorio), darà, all’italiana, una accelerazione a tali voci di bilancio. Alla faccia di chi, come quelli del Movimento 5 stelle bollavano come “una favoletta” gli allarmi circa le possibilità di crollo del ponte lanciati da più parti nel corso degli ultimi anni.
Non è il primo crollo che lambisce la famiglia Benetton, la cui storia economica andrebbe forse riscritta anche come segue: c’era una famiglia di quattro fratelli che ebbero una intuizione straordinaria poco dopo la metà del ‘900. Si misero in testa di fare capi colorati. E il colore predominante fu in quella fase il nero dei dollari della United colors of Benetton, che sbarcò anche negli Usa ed insegnò a vestirsi al mondo, grazie anche alle straordinarie campagne comunicative ideate da Oliviero Toscani. In quel periodo c’era anche del nero, quello dei contoterzisti che lavoravano nei sottoscala e nei capannoni del Nord Est, su cui probabilmente in molti chiudevano un occhio e forse anche tutti e due nel nome degli “Schèi”, titolo di un libro di Gian Antonio Stella che ormai vent’anni fa ha iniziato a tratteggiare i contorni dell’incubo in cui rischiava di finire il sogno del miracoloso Nord Est. Intanto l’incubo lo hanno conosciuto negli anni anche quelli che sulla produzione in conto Benetton avevano messo i capitali di famiglia e i sacrifici dei figli, mandati a lavorare anzichè a studiare perchè appunto, c’erano i “schèi” da fare, tanti, subito e possibilmente in nero.
Nel giro di pochi anni al giro del secolo che era anche nuovo millennio, maglioni e magliette colorate iniziarono a farle le maestranze in Romania. Quello fu il primo crollo, con un intero settore manifatturiero che si trovò orfano di uno dei suoi principali committenti. Molti chiusero, qualcuno provò a seguire i padroni degli anni ’70 e ’80 per continuare a fare “schèi” in Romania dove si chiamavano “Lei”.
Il secondo crollo nella stroria dei Benetton arriva cinque anni fa quando in Bangladesh crolla il Rana Plaza. Dentro le fabbriche tessili negli otto piani dello stabile alla periferia di Dacca rimangono oltre 1300 cadaveri, altre quattromila persone riescono in qualche maniera a scamparla. Sotto le macerie rimangono anche scatoloni con le etichette di moltissimi marchi internazionali. Sfiga vuole che tra quelle etichette ci siano anche quelle della United Colors of Benetton. L’azienda trevigiana anni dopo pagherà cash qualcosa più di un milione di euro di risarcimenti, qualcosa meno di 1000 euro per vita umana finita tra le macerie di quella fabbrica della morte.
Perchè a volte fare schèi in Bangladesh vuol dire anche macchiarsi un po’ di sangue. Il quartiere generale di Ponzano ha sempre spiegato che no, che la Benetton non c’entrava direttamente, che erano sub sub forniture. Insomma, morti a loro insaputa.
Ed anche adesso verrà detto che le morti di Genova non c’entrano nulla con Treviso, che gli investimenti stavano per essere approvati, che i tempi della burocrazia sono lunghi in Italia e che insomma la famiglia Benetton sì porta a casa schèi anche da quel pezzo di autostrada che è di Atlantia, che controlla al 30% attraverso la fiduciaria lussemburghese e che insomma, non si poteva mica prevedere. Fino al prossimo crollo. Lo chiamavano miracolo veneto. Dicevano che era il riscatto anche morale di una intera regione, di un intero popolo. Quante macerie dietro quel riscatto, quante miserie morali hanno portato quei “schèi”. “I veneti sono diventati ricchi troppo velocemente” suole ripetere Oliviero Toscani che con i Benetton ha portato a casa qualche bella quantità di Schèi. Mi sa che ha proprio ragione.

Alberto Gottardo