Garanzia Giovani: piano tra luci e ombre secondo Confapi Padova

 

Sono già più di 7.200 le domande di adesione al piano “Garanzia Giovani” per quanto riguarda il Veneto e, fra, queste, 1.239 provengono dalla provincia di Padova. Numeri importanti, che è possibile accostare ad altri dati, quelli che riguardano il tasso di disoccupazione nel territorio: nei primi tre mesi del 2014 anche il Nord Est ha toccato i livelli più alti dal 1977, quando sono partiti i rilevamenti Istat. In particolare, per quanto riguarda la fascia d’età tra i 19 e 24 anni ha raggiunto il 33.4%, percentuale più bassa rispetto al 46% nazionale ma comunque oltremodo preoccupante.

«Inutile girarci attorno, abbiamo letteralmente toccato il fondo» dichiara Jonathan Morello Ritter, presidente dei Giovani Imprenditori di Confapi Veneto. «La situazione è drammatica, eppure, ancora una volta, il problema viene affrontato attraverso un intervento spot e non varando un vero piano di crescita industriale in grado di dare nuovo impulso al mercato del lavoro. I fondi stanziati per il piano “Garanzia Giovani” si esauriranno nel 2015: nessun’azienda può approntare un serio programma di sviluppo tarato su un lasso di tempo così breve. Certo, questo è un possibile punto di partenza, ma l’Italia ha bisogno di ben di più: i nuovi posti di lavoro non si creano per decreto ma favorendo lo sviluppo dell’economia».

“Garanzia Giovani” prevede un fondo di 1.5 miliardi di euro, da spendere nel biennio 2014-2015, destinato a garantire un’offerta di lavoro, un contratto di apprendistato, un tirocinio o una nuova opportunità di formazione ai giovani tra i 15 e i 29 anni disoccupati o Neet (Not in Education, Employment or Training), entro 4 mesi da laurea, diploma o stato di disoccupazione. «Ma teniamo presente che non si sta parlando garantire loro un posto di lavoro: in ballo ci sono contratti di apprendistato e tirocinio. Di fatto, per quanto riguarda le imprese, c’è il rischio che gli impieghi offerti per ricevere le risorse messe a disposizione non siano più economicamente sostenibili quando i fondi del progetto termineranno» prosegue Morello Ritter nella sua analisi.
«In questo modo si promettono posti di lavoro senza che ne siano creati, in un certo senso “dopando” il mercato: quanti, tra i giovani che troveranno un’occupazione nel breve periodo, riusciranno a stabilizzarla? Il rischio è che siano “posteggiati”, senza che sia poi garantita loro una posizione quando saranno esaurite le risorse del piano. Ma se lo stesso denaro fosse stato investito nell’ulteriore sgravio del costo del lavoro per le imprese i risultati sarebbero stati migliori. E siccome mi piace essere concreto, voglio chiudere con un esempio specifico: per poter pagare 1.160 euro al mese a un dipendente l’azienda ha un costo complessivo mensile di 2.480,64 euro. Più del doppio: poi capite perché è difficile assumere in Italia?».