Lavori ibridi in Veneto: i risultati di una ricerca empirica coordinata dal professor Paolo Gubitta cerca di fare chiarezza

 
Paolo Gubitta

La (tanto evocata) trasformazione digitale si misura solo con il valore degli investimenti o si specchia anche nel contenuto del lavoro svolto giorno per giorno nelle nostre imprese?
Siamo veramente alla vigilia di uno scontro generazionale, che vede i Millennials (Generazione Y) più competitivi degli over 50 (Generazione X e Baby Boomers) e, quindi, preferiti nei processi di reclutamento e selezione o nell’attribuzione delle mansioni?
La polarizzazione del mercato del lavoro (da una parte lavori poveri di contenuto professionale, dall’altra lavori ricchi di contenuto professionale e opportunità) è un’invenzione accademica o si sta verificando? Avere in tasca la laurea dà qualche vantaggio rispetto a chi ha il diploma?
La ricerca realizzata dall’Osservatorio Professioni Digitali dell’Università di Padova, in collaborazione con Veneto Lavoro, risponde a queste domande attraverso una prima indagine che ha coinvolto 300 lavoratori veneti che nell’ultimo anno hanno cambiato lavoro.
La ibridazione dei lavori consolidati è un fenomeno reale e, soprattutto, pervasivo che non risparmia proprio nessuno: dai cassieri dei supermercati ai chirurghi degli ospedali, dagli operai delle fabbriche, agli idraulici, ai meccanici, agli elettricisti e a tutto il variegato mondo delle imprese artigiane, passando per commercialisti, avvocati e consulenti.
Con sempre maggiore frequenza, e in tutti i lavori più comuni, alle persone viene richiesto di saper combinare e integrare le competenze tecniche, gestionali, professionali che identificano il mestiere specifico (dal chirurgo all’idraulico) con un variegato portafoglio di conoscenze e abilità che spaziano dall’informatica, alla digitalizzazione, alle abilità relazionali.
Il risultato è un profilo di abilità richieste che, rappresentato graficamente, fa sempre più assomigliare i lavori ibridi a un felino
La domanda diventa: quale felino?
L’impressione è che i lavori ibridi assomiglino ai gatti. La ragione è presto detta: i gatti sono onnivori, si sanno arrangiare in tutte le situazioni e si dice abbiano sette vite, riuscendo ad adattarsi a diversi ambienti in tempi rapidi. Proprio come i lavori ibridi, che portano con sé competenze non specifiche di settore o di azienda e in questo modo possono muoversi con maggiore facilità da un lavoro all’altro.
In questa stagione di grandi trasformazioni tecnologiche, organizzative e sociali i lavori meno ibridati assomigliano di più alle linci: un animale fiero e bellissimo, ma prevalentemente carnivoro, che oggi non trova abbastanza prede tanto che in alcuni Paesi è in via di estinzione. È quello che succede a certi lavori che rimangono ancorati alle modalità tradizionali di svolgimento e rischiano di non trovare occasioni di impiego sufficienti.
Tutto facile?
Non proprio, perché in questa trasformazione a fare la parte dei gatti sono soprattutto i Millennials, mentre gli over 40 (la Generazione X) sembra assomigliare di più alla lince.
I primi devono solo imparare, mentre i secondi devono fare la doppia fatica di imparare il nuovo e disimparare un po’ del vecchio.
Come superare il problema?
Serve (anche) una radicale innovazione nelle modalità di fare formazione.