Miriam, i profughi e quel no che sa di vergogna nella citta’ di Sant’Antonio

 

La donna nella foto si chiama Meriam Yehya Ibrahim, la donna imprigionata in Sudan e condannata a morte per apostasia in base alle norme della sharia per aver sposato un cristiano. Meriam, 27 anni, è arrivata a Roma ieri a bordo di un volo di Stato. Migliaia come lei, meno noti perchè non hanno incontrato un giornalista coraggioso sulla loro strada, si metto in cammino e fuggono da persecuzioni religiose e politiche, dalle guerre e dalla fame. Sono profughi. Quando si dice no ai profughi si dice no anche a donne come Meriam. A Padova non accoglieremo nessuna persona in fuga in più di quelle già consolate dai volontari della Caritas, perchè il sindaco Massimo Bitonci ha detto “basta profughi, la maggioranza dei padovani vuole così”. E già che ci siamo, ha aggiunto il sindaco leghista di Padova, niente più spazi comunali ai musulmani che pregano per il Ramadan.

Lo stesso sindaco il 13 giugno, durante la festa di Sant’Antonio ha pronunciato questo discorso (clicca qui per leggere il discorso intero) di cui riportiamo il passaggio centrale: “Ricordandolo, ricordiamoci di mantenere sempre aperti il nostro cuore e, con esso, le porte di Padova. Solo così sapremo accogliere ogni novità positiva, da qualsiasi parte del mondo provenga. Solo così è stato possibile, per i padovani di un tempo, raccogliere la testimonianza di fede e di amore di Sant’Antonio”. Il sindaco Massimo Bitonci ha anche annunciato che renderà obbligatori i crocifissi in tutti gli uffici pubblici. “E guai a chi li tocca”, ha aggiunto.

La tradizione vuole Padova fondata da Antenore, profugo di Troia, Sant’Antonio era partito per l’Africa in cerca di martirio in nome del cristianesimo, ma la divina Provvidenza per chi ci crede, un fortunale per chi crede solo nella metereologia, lo fece naufragare in Sicilia. Risalì tutta la penisola a piedi, incontrò san Francesco, si fermò a Padova ed i padovani lo amarono tantissimo nonostante parlasse un volgare con accento dal finis terrae d’allora.

Galileo Galilei passò a Padova i migliori diciotto anni della sua vita, prima di essere perseguitato anche lui, imprigionato a causa della scienza. All’inizio del ‘900 Padova fu la nuova casa per gli armeni riusciti a sfuggire alla persecuzione turca. E un paio di generazioni fa i padovani accolsero altri profughi, dall’Istria e Dalmazia (ma erano italiani, si dirà, era più facile) e dall’ungheria (nel cortile di giurisprudenza c’è ancora una targa a ricordarlo).

Sindaco, difenda le tradizioni padovane, non chiuda Padova a chi bussa in cerca di un futuro migliore. Un no i padovani non lo hanno detto nemmeno dopo le peggiori guerre, nemmeno durante il medioevo eravamo così ciechi da non vedere nell’altro che soffre, una parte di noi. Altrimenti poi come possiamo guardare il crocifisso o dirci la città di Sant’Antonio senza vergognarci?

Alberto Gottardo