Nuovo ospedale di Padova: l’analisi di Sabrina Dorio, segretario Cisl

 

Futuro della sanità padovana e nuovo Ospedale: Padova e i suoi cittadini stanno assistendo da ormai troppi anni a un dibattito surreale.
Sembra di vivere una perenne campagna elettorale, perché non si concretizza nulla e nessuno chiarisce pubblicamente di quale Ospedale stiamo parlando e quale dovrebbe essere la sua mission.
Prima questione. L’Ospedale di Padova è un riferimento regionale per l’alta specialità, ma lavora molto con pazienti che giungono da altre regioni (11% dei ricoveri). Certifica e cura 15.000 malattie rare, l’8% del totale nazionale. La dotazione dei posti letto dovrà quindi tenere presente anche di questo servizio (100 letti in più già previsti), e servizi per i loro familiari, soprattutto per i pazienti pediatrici.
Secondo aspetto. Il vecchio ospedale è un cantiere aperto da 30 anni, con investimenti milionari che avrebbero già coperto la spesa del nuovo ospedale, ma per la sicurezza e la qualità dei servizi, finché lo si utilizza, i lavori devono certamente essere fatti, con grande disagio per i pazienti e per chi ci lavora. E’ una struttura articolata su più padiglioni che fa perdere tempo a chi ci lavora, di scarsa qualità in termini di accoglienza strutturale, e con enormi quantità di risorse sprecate per inefficienze strutturali non modificabili.
Terzo punto, il più delicato perché guarda anche agli investimenti economici per il futuro. Quale ospedale si vuole realizzare a Padova? Un polo integrato con l’Università? Con il campus o senza? Non si sottovaluti questo ultimo aspetto, perché didattica e ricerca hanno bisogno dei loro spazi, e a guardare gli ultimi nuovi ospedali rischiamo di ritrovarci senza nemmeno un’Aula magna per fare una riunione del personale. Senza contare parcheggi e servizi per gli utenti e i lavoratori, che in alcuni ospedali si sono ritrovati a pagare il parcheggio, quando neppure un supermercato apre senza questo servizio gratuito per clienti e dipendenti!
Quello che preoccupa molto poi, oltre all’aspetto economico che rischia di degenerare in caso di certi project-financing (ci sono esempi di project che arrivano a 25% di remunerazione in più), è la tipologia del contratto da attuare con i finanziatori. Ci sono esempi anche in Veneto che dovrebbero insegnare qualcosa a tal proposito.
Un caso per tutti: che in tempi di ristrettezze e tagli delle prestazioni improprie, si conceda alla ditta del project un numero minimo di prestazioni di diagnostica indipendentemente dalle prestazioni effettive è assolutamente ingiustificato e inaccettabile. Perché ai pazienti si dice che l’esame non serve, non è appropriato, ma alla ditta fornitrice del project quell’esame va pagato lo stesso! Non abbiamo bisogno di una politica che fa queste scelte autodistruttive per il sistema pubblico. Le prestazioni devono essere regolate dal servizio sanitario regionale e dai bisogni dei pazienti. Punto.

Infine dobbiamo avere la capacità di guardare oltre. L’Ospedale di Padova non è solo uno stabile, un contenitore. E’ un punto di riferimento per la salute, la ricerca e la crescita anche culturale di tutto il territorio padovano e non solo. Con l’assistenza sanitaria transfrontaliera i confini nell’Unione Europea sono caduti anche in sanità. Padova potrebbe candidarsi ad essere un riferimento anche per i pazienti di altri Paesi europei se fosse attrezzata con un ospedale moderno ed efficiente. Invece il rischio vero è che paesi più veloci del nostro nel fare le scelte di qualità attraggano sempre più pazienti italiani.
Padova ha bisogno di un sistema più interconnesso anche con il territorio e di una maggiore fluidità nell’erogazione dei servizi, in sintonia con il modello socio sanitario a forte integrazione che caratterizza la nostra regione, e questo si realizza con un grande lavoro a partire dalla formazione e dal coinvolgimento degli addetti ai lavori. Non bastano le ricette della politica ne i suoi dibattiti stucchevoli.
L’ospedale di Padova è una cittadella in cui lavorano 4.700 lavoratori dipendenti insieme ad altri 1.000 dei servizi in appalto. Se si realizzerà l’Ulss provinciale, con altri 7.500 lavoratori (e altri 1.000 non alle dirette dipendenze) per quasi un milione di abitanti, ci rendiamo conto che le responsabilità sono ancora maggiori. Si tratta di una comunità nella comunità, di migliaia di persone che lavorano al servizio del territorio e dei suoi cittadini.
Una grande sfida attende la sanità padovana, ma a metà giugno siamo ancora fermi con la progettazione del futuro perché in attesa del cambio del nuovo Direttore Generale dell’Ulss, che non è stato nominato dalla Regione.
C’è molto da fare e da riorganizzare, nessuno parla di questo, di come un sistema così complesso, già provato da anni di carenza di personale e di servizi ridimensionati, possa e debba essere valorizzato e su cui si deve investire di più, e questo può essere fatto solo assieme ai suoi lavoratori. Non c’è tempo da perdere: eccellenza ospedaliera, continuità assistenziale e reti integrate nel territorio al servizio dei cittadini sono una priorità che la politica non può disattendere.

Sabrina Dorio
Segretario Generale Cisl Padova Rovigo