Ostensione di Sant’Antonio da Padova: il dolce tipico è fatto in carcere

 

L’ostensione delle spoglie mortali di sant’Antonio, evento straordinario, avrà i suoi effetti anche nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova, e più precisamente nella pasticceria gestita dal consorzio sociale Rebus, nella quale 12 detenuti sfornano ogni giorno squisitezze di ogni genere, imparando al contempo un lavoro effettivamente spendibile anche per il proprio futuro, come fanno gli altri detenuti impiegati nelle diverse attività  del consorzio Rebus, un centinaio in tutto. In questi giorni, visto l’elevato numero di richieste, si sta sfornando a ritmi da record la Noce del Santo, specialità che un anno fa si è aggiunta agli ormai pluripremiati panettoni, alle colombe, ai biscotti e ai dolci tipici, presentati come eccellenze del made in Italy anche al G8 de L’Aquila della scorsa estate.
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«La produzione è più che raddoppiata», spiega Luca Passarin, responsabile della ristorazione in carcere, che oltre alla pasticceria comprende anche la cucina, «d’altra parte i pellegrini ormai hanno adottato la Noce del Santo come il dolce di sant’Antonio per eccellenza, sia per la qualità del prodotto, sia per il contesto sociale in cui nasce, sia perché ad ogni unità venduta viene destinato un euro alle opere di misericordia della Caritas antoniana».
La Noce verrà inoltre proposta in una confezione celebrativa che ricorda la straordinarietà dell’evento (l’ultima volta fu 29 anni fa, la penultima oltre seicento anni prima e una futura ostensione non è ad oggi prevedibile).
Per una coincidenza non prevista, proprio nella settimana dell’Ostensione è programmata la fase degli assaggi definitivi del secondo prodotto della linea “I dolci di Antonio”, che si affianca alla classica “I dolci di Giotto”. «Ci siamo orientati verso la pasticceria secca», spiega il presidente del consorzio Nicola Boscoletto, «e contiamo di far debuttare la nostra nuova proposta in occasione della tredicina del Santo, a inizio giugno, come già fu per la Noce».

La sperimentazione del nuovo prodotto è particolarmente accurata, anche perché il richiamo ad Antonio non vuole rimanere un pretesto. Per la Noce del Santo, ad esempio, i pasticceri del consorzio hanno studiato a fondo il contesto storico e alimentare del dodicesimo secolo, mantenendo, spiega Passarin, «l’equilibrio tra prodotti tipici dell’antica modalità di alimentazione che si affidava alla raccolta di ciò che la natura direttamente offriva e quelli provenienti dalla nuova cultura della coltivazione agricola che cominciò ad affermarsi proprio con l’epoca medievale di Sant’Antonio». Ecco quindi le noci, anzitutto. E poi altri frutti di raccolta come le mandorle e le nocciole, miele, lievito naturale, farina integrale di frumento, zucchero di canna…
Un mix evidentemente apprezzato, se è vero che nel chiostro della basilica del Santo e del Santuario antoniano di Camposampiero la Noce del Santo è andata a ruba. Anche le prenotazioni sul sito internet www.idolcidigiotto.it stanno andando molto bene. «E d’altra parte con un partner così», azzarda la battuta Boscoletto, «fare miracoli non è strano».

Battuta solo fino a un certo punto, però. L’alleanza tra frate Antonio e il carcere di Padova è ormai consolidata. Nel giugno 2008 le sue reliquie sono state portate nella casa di reclusione di via Due Palazzi. Un vero evento. Lunghe file di agenti, volontari, personale a chiedere una grazia, pregare, affidare i propri cari e le proprie speranze di vita nuova. E i detenuti? Sono stati visitati dal Santo cella per cella, in un pellegrinaggio segnato dal protendersi delle mani fuori dalle sbarre per toccare la reliquia.
Un fatto che ha segnato in profondo lo stesso rettore della Basilica del Santo, padre Enzo Pojana: «Quella giornata, attraverso la preghiera e la devozione sincera di tanti tra detenuti, agenti di polizia penitenziaria e operatori ha portato molti frutti, tra cui il cambiamento del cuore di alcuni».

Non è un caso quindi che durante la settimana ci sarà anche un momento in basilica del Santo dedicato al mondo del carcere. «Potremmo dire che il Due Palazzi restituisce a sant’Antonio la visita», commenta Boscoletto. Di certo la rappresentanza sarà qualificata, con il direttore, magistrati, personale, educatori, agenti di polizia penitenziaria, operatori interni ed esterni e una ventina di detenuti.
D’altra parte parliamo del personaggio che nel 1231 compì un gesto pubblico eclatante: chiese e ottenne dal Comune di Padova di modificare la legge per liberare dal carcere le vittime dell’usura. E che quindi di quel luogo, maledetto o dimenticato dagli uomini, non cessa di avere una cura e una predilezione del tutto particolari.