Visita in carcere di Carlo De Benedetti: “Sono emozionato, ne esco diverso”

 

«Non ho mai visto nulla di simile. Grazie, sono emozionato. Esco da queste mura diverso da come sono entrato». Non è certamente una visita che ha lasciato indifferente Carlo de Benedetti, quella che si è svolta oggi pomeriggio nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Ad aprire la strada all’ingegnere era stata niente meno che il ministro della Giustizia Paola Severino, che nel carcere padovano si è recata per la prima volta due mesi fa. «Era rimasta entusiasta di ciò che aveva visto, e sì che si tratta di una penalista che nella sua vita professionale di carceri ne ha visitate tante».

Ad accompagnare il presidente dell’Editoriale L’Espresso nel penitenziario padovano è Graziano Debellini, presidente di varie società padovane nel campo delle costruzioni e dell’energia. È evidente tra i due il rapporto di fiducia, stima e collaborazione. Ad accoglierlo, varcati i cancelli, trova il direttore Salvatore Pirruccio. E naturalmente c’è anche Nicola Boscoletto presidente del consorzio sociale Giotto. De Benedetti è curiosissimo, interroga il direttore sul numero dei detenuti, la capienza, gli agenti, la percentuale di italiani e stranieri. E ascolta con grande attenzione la storia di Boscoletto e dei suoi amici. Quella di una cooperativa che alla fine degli anni Ottanta entra in carcere fortunosamente, per un appalto che non si sbloccava mai, e che prima coinvolge i carcerati in corsi di manutenzione del verde, poi in qualche lavorazione artigianale ed ora giunge ad annoverare oltre cento detenuti regolarmente assunti. Si entra nel call centre gestito dal consorzio, l’Ingegnere sgrana gli occhi, vede un piccolo pezzo di Veneto operoso trapiantato dentro le mura di una galera. Si sofferma con Michele, il responsabile del reparto, vuole sapere chi sono i clienti pubblici e privati, quali sono gli orari, come si fa la formazione. Quest’ultima domanda trova risposta “dal vivo” in una saletta attigua in cui una decina di detenuti sta seguendo la lezione di un collega. «È un momento di aggiornamento», spiega il leader del gruppetto, «stiamo verificando gli errori commessi questa settimana per migliorare le procedure».
Si passa subito alla lavorazione delle biciclette Esperia. E anche qui è l’imprenditore ad emergere: quante se ne producono, quante persone sono coinvolte, quanto vi pagano a bicicletta? Alessandro, il caporeparto, spiega che attualmente escono dal carcere 150 bici al giorno, ma l’obiettivo è 200, «cerchiamo di fare di tutto per raggiungerlo». «Una vera officina», commenta De Benedetti che poi passa alle altre lavorazioni, le chiavette usb per le camere di commercio (e anche qui il dialogo con Zhang, il caporeparto cinese dalla produttività mitica, è molto serrato), alle valige di Roncato, ai filtri per acqua della padovana Atlas.

Poi è la volta della cucina, nella quale alcuni detenuti stanno preparando dei tramezzini per un ricevimento esterno, e della pasticceria, dove i celebri panettoni riposano lievitando a testa in giù. È Matteo Florean, maestro di gusti e responsabile della qualità del prodotto, a raccontare le fasi della lavorazione che hanno portato questi dolci in vetta alle classifiche del gusto. «La battaglia del sociale si vince sul piano della qualità», spiega Boscoletto al suo interlocutore. «Che siano biciclette, valige, o panettoni non conta: il prodotto che esce di qui dev’essere il migliore». C’è anche una sorpresa in pasticceria per De Benedetti: una meringata ai frutti di bosco con la scritta “Buon compleanno Ingegnere” (per la verità con sei giorni di ritardo). Foto di gruppo con torta, un corale “tanti auguri a te” e poi si passa in refettorio.
Qui il presidente del gruppo Espresso autografa alcune copie del suo ultimo libro, che poi presenterà in Università. Il titolo è Mettersi in gioco. «Siamo in tema», dice Boscoletto, che rinuncia a citare i passi che si è coscienziosamente annotato. Una frase però la legge. È di una giornalista marocchina di 30 anni, un appello a lasciar da parte il vittimismo. «Non permettete a nessuno di avvilire le vostre vite». In sala, assieme ad alcuni operatori della cooperative, c’è anche una quindicina di detenuti. Il messaggio arriva diretto. E così, dopo due video con testimonianze dei carcerati impegnati nelle attività lavorative, è l’Ingegnere stesso a chiarire il concetto. Con gli occhi lucidi e nessuna retorica. «Mi avete dato una lezione formidabile di cosa c’è in ciascuno di noi. Nel corridoio d’ingresso è stato riprodotto l’Icaro di Matisse, con quel cuore rosso. La questione per ciascuno di noi è scoprire quel cuore. Ma ce l’abbiamo tutti, qualunque sia la storia che ci portiamo alle spalle. Anche se a volte non abbiamo il coraggio di fare leva su questo. Comunque voi mi avete fatto capire che tutti, in qualsiasi condizione ci troviamo, possiamo rinascere». Si tratta di ritrovare non solo il gusto, ma lo scopo della vita, «la fierezza di vivere che ho visto in questi pasticceri, soddisfatti perché ci vedevano assaggiare il panettone e il torrone che avevano appena prodotto».

È un’esperienza quella del lavoro in carcere che secondo De Benedetti occorrerebbe estendere a tutti coloro che si sono trovati a fare degli errori gravi nella loro vita. Ma la cosa che ha impressionato di più l’Ingegnere è un’altra. Gli sguardi. «Mi hanno colpito gli occhi di queste persone, dell’operaio che assembla i pezzi delle biciclette, alla gioia dei pasticceri che ci parlavano dei loro prodotti. Ho visto una comunità al lavoro. Sono ammirato, vi ringrazio, è un’esperienza che non dimenticherò». Un cenno anche a un’esperienza personale. «Ho vissuto per dodici ore il carcere ai tempi di Tangentopoli. Ho provato l’umiliazione di essere perquisito. E mi sono commosso quando alla sera sentivo il canto di alcuni famigliari dei carcerati». Tutti siamo uguali, conclude l’Ingegnere, possiamo farcela tutti. «Dopo questa visita ho capito che è vero».