Si fa presto a dire burqa, e anche a seminare ignoranza. Politica e giornalismo però sono un’altra cosa

 

Si fa presto a dire burqa. E’ corto, fa titolo, è come dire babau a un bambino, fa paura. Ed allora l’assessore Marina Buffoni ha detto che ha rimosso un poster con una donna col burqa. Poi guardi il poster twittato dal Corriere del Veneto e scopri che a volte il filtro del giornalista non esiste. Perchè quello non è un burqa, e se l’assessore, che pure condusse battaglie simili un paio di anni fa quando era consigliere comunale a Conegliano, può essere ignorante in materia, che anche il giornalista lo sia in un giorno come questo fa un po’ male. Quello della foto non è un burqua, il burqua infatti copre totalmente il corpo della donna, compreso viso e occhi celati da una griglia di tessuto. Quello nella foto è un Niqab, Non lo scrive quasi nessuno sui siti online che riportano la “notizia” nè l’ho sentito specificare e correggere nei servizi televisivi andati in onda stasera. Il Niqaq è usato dalle donne musulmane di paesi dove le stesse donne hanno diritto di voto e possono accede ad università e professioni: a occhio quello della foto è di tipo saudita, ma non sono un esperto. Lo usano, quel tipo di copricapo, anche alcune popolazioni hindu del Pakistan, quando le donne ancora da maritare vanno a far visita a famiglie non della cerchia paterna, giusto per capire come moda e religione non sempre coincidano.
Bastava aver studiato un po’, diciamo a livello della Settimana enigmistica. O cercare in internet. L’assessore non era tenuta a farlo, suoi compagni di coalizioni hanno pascolato maiali vicino a un casolare dove si ipotizzava di far pregare delle persone, figurarsi. Il giornalista però un minimo di senso critico, quando scrive, dovrebbe averlo. Le parole, come diceva un parodistico Nanni Moretti, hanno un senso. O altrimenti perde senso anche il lavoro di chi le riporta.

Alberto Gottardo