Boom di assunzioni a Padova ma nel manifatturiero non si trova personale

 

Le imprese padovane entro la fine del mese di maggio hanno in programma 5.480 assunzioni. E questo nonostante il rallentamento della crescita economica osservato nel primo trimestre e le prospettive sempre più incerte per il secondo, a causa dell’invasione dell’Ucraina, della crisi energetica e dei rincari delle materie prime. Ad aprile erano invece stati programmati gli ingressi di 5.250 figure professionali. La tendenza è quella della crescita, ma non per tutti. Perché se è vero che ci sono comparti, come quello turistico, che registrano un netto aumento del fabbisogno di manodopera, proprio le imprese manifatturiere sembrano risentire della situazione, specie per quanto riguarda il reperimento di operai specializzati e conduttori di impianti e macchine: erano 2.120 quelli che le aziende ricercavano ad aprile, sono scesi a 1.670 a maggio, con un calo del 21%. Negative anche le statistiche del settore costruzioni rispetto al mese precedente: da 330 figure da inserire si è scesi a 260. Lo attestano i dati Unioncamere-ANPAL (Sistema Informativo Excelsior) rielaborati da Fabbrica Padova, centro studi di Confapi. Numeri che stanno a confermare come ci sia un rallentamento nella ripresa che si ripercuote sul mercato occupazionale. Resta un altro dato, tutt’altro che secondario, da considerare, ovvero il mismatch tra domanda e offerta di lavoro: nel 57% dei casi l’azienda padovana che cerca un operaio specializzato sa già che non lo troverà, per mancanza di candidati o preparazione inadeguata.

«Di fronte a questi dati ci sono due ordini di considerazioni da fare», evidenza Andrea Tiburli, presidente di Unionmeccanica Padova, la categoria che raccoglie le piccole e medie imprese del settore metalmeccanico associate a Confapi. «La prima è questa: il settore manifatturiero padovano e veneto viene da un forte recupero e ha confermato anche a inizio 2022 la tendenza del 2021, con le esportazioni tornate a livelli pre-pandemia. È chiaro, però, che la crescita rischia di essere affossata perché i costi delle materie prime, come l’acciaio, e quelli di petrolio, energia e gas incidono sui margini di ogni azienda. Il Governo ha fatto delle scelte positive, per esempio sui crediti d’imposta estesi anche alle aziende più piccole. Ma in queste condizioni è legittimo che un’impresa ci pensi più volte prima di assumere, anche perché, per quanto se ne parli da anni, il cuneo fiscale rimane elevatissimo. A mio avviso, però, le vere ragioni del rallentamento sono altre, e vengo alla seconda parte della mia lettura del problema», prosegue Tiburli. «Potrà apparire come una provocazione, ma io temo che molti imprenditori del settore manifatturiero, ormai scoraggiati, abbiano direttamente rinunciato a cercare sul mercato le figure di cui hanno bisogno».

In sostanza, non è che certe figure professionali non servano più. È vero l’esatto contrario. La difficoltà nel reperire manodopera agisce, però, da deterrente nella ricerca. «Parlo per esperienza personale: le agenzie di recruiting non hanno candidati da proporre alla mia azienda, che pure avrebbe bisogno di personale. Il punto è che i ragazzi non seguono più certi percorsi di studio, di conseguenza le scuole non riescono a rispondere alle esigenze delle imprese. Succede per una convinzione erronea ma diffusa, quella per cui i “colletti bianchi” guadagnano più di quelli blu. Ma oggi, in realtà, le persone che ruotano attorno alla produzione, dall’ufficio tecnico al controllo qualità, guadagnano quanto gli impiegati se non addirittura meglio», conclude Tiburli. «Ecco, a mio avviso la vera battaglia da condurre in questo campo è legata alla necessità di ripensare tutto il sistema dell’educazione-istruzione, studiando interventi rapidi e mirati per far fronte all’attuale specifica contingenza. Ma dietro a questi numeri c’è un problema anche nostro, di noi imprenditori e noi associazioni di categoria: perché bisogna tornare a rendere attrattive le nostre aziende anche attraverso la comunicazione all’esterno. L’obiettivo deve essere quello di far capire che l’industria metalmeccanica è cambiata, non è più un ambiente sporco e pericoloso: esiste un tessuto di imprese moderne che puntano sulla continua formazione dei propri collaboratori. Ripartiamo da qui».