Dopo la manifestazione di Bologna cambia tutto anche per il Pd: l’analisi (per nulla banale) di Corrado Poli, urbanista ed editorialista del Corveneto

 

Nel 2015 non c’era alcuna possibilità che il PD vincesse le elezioni regionali nel Veneto, né ci sarà in futuro se qualcosa non cambia. Da un quarto di secolo mancano una base elettorale e un progetto chiaramente distinguibili dal centro destra. Il PD al governo della Regione favorirebbe un parziale e opportuno rinnovo della classe dirigente regionale, ma non esiste la possibilità storica e culturale di proporre una politica sostanzialmente diversa.

Per ottenere un peso maggiore nel Veneto il PD dovrebbe allargare il proprio consenso ai partiti di centro. Se il PD prendesse la guida di una coalizione di governo sarebbe un grande successo, ma il solo farne parte sarebbe comunque un obiettivo realistico. Questa strategia finora non è stata seguita per due ragioni. Anzitutto non c’erano le condizioni essendo il centro destra autosufficiente a formare la maggioranza. In secondo luogo non era poi così necessario visto che ci si accontentava di legittimi accordi di sottogoverno costruiti durante la Prima Repubblica e mai interrotti.

In tutta Europa i vecchi nemici, socialisti e liberisti, formano governi di coalizione per contrastare i variegati populismi. Oltre alle grandi coalizioni di Merkel, emergono leader di sinistra o di destra i cui programmi sono pressoché intercambiabili. Il caso più evidente fu Toni Blair e ora Cameron che non a caso ha favorito l’ascesa di una sinistra radicale nel Labour. In Italia abbiamo governi di coalizione dal 2011. Quella che secondo gli schemi tradizionali dell’analisi politica sembrava l’eccezione è diventata la norma. Perché il PD Veneto dovrebbe rifiutare questa prospettiva, peraltro molto “renziana”, nella regione in cui è più perdente che in qualsiasi altra?
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