Il Vescovo Antonio Mattiazzo invita i fedeli della diocesi di Padova alla meditazione quaresimale

 

Con l’inizio della Quaresima il vescovo Antonio invia ai fedeli della Diocesi di Padova una meditazione che prende spunto dalle parole del profeta Gioele (2,12) Ritornate a Me, della liturgia odierna. Parole che – scrive il vescovo – sono, in questo inizio di quaresima, un accorato invito di Dio rivolto a ciascuno di noi. Il tempo della Quaresima, ricorda l’arcivescovo è «un tempo propizio che Dio ci dona per una conversione spirituale». La meditazione completa viene proposta di seguito e sarà disponibile da oggi sul sito della Diocesi di Padova all’indirizzo www.diocesipadova.it

Accanto a questa meditazione il vescovo Antonio proporrà settimanalmente una riflessione sulla Parola di Dio delle domeniche di Quaresima e un messaggio specifico mons. Antonio Mattiazzo ha inviato anche ai presbiteri. Anche questo materiale sarà disponibile da oggi sul sito diocesano.

Si ricorda che il vescovo questa sera alle ore 21 in Cattedrale presiede la liturgia delle Ceneri e il rito di elezione dei catecumeni. Mentre venerdì 19 febbraio, alle ore 17, in basilica del Santo presiederà la celebrazione eucaristica in occasione dell’ostensione del corpo di sant’Antonio.

Il testo della meditazione

“Ritornate a Me” (Gioele 2, 12)

MEDITAZIONE PER LA QUARESIMA 2010

1.         “Ritornate a me con tutto il cuore…

ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso …” (Gl 2, 12-13).

Questo accorato invito di Dio risuona all’inizio della Quaresima (mercoledì delle ceneri) ed è rivolto a ciascuno di noi.
“Ritornate…” si tratta di ritornare, perché da chi la nostra vita ha origine permanente se non da Dio? D’altra parte Dio è Padre che sempre attende il nostro ritorno.
E ancora siamo esortati: “Oggi, se ascoltate la Parola di Dio, non indurite il vostro cuore…” (Sal 94).
L’indurimento del cuore, nella Sacra Scrittura, è un male grave e temibile, perché rende insensibili a percepire la presenza di Dio e a stabilire una relazione con Lui. Il cuore sensibile a Dio è un cuore puro, umile, che confida in Dio.
Ritornare a Dio vuol dire riconoscere che Dio è il Fondamento, Principio e Fine ultimo della nostra vita, il nostro Bene Supremo; nello stesso tempo vuol dire riscoprire e affermare la nostra vera identità e la più alta dignità perché noi siamo “immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1, 26).
Riconoscere Dio come Dio vuol dire adorarLo, riconoscerLo come Assoluto, il Creatore, il Padre di tutto.
Il peccato originale, la radice velenosa di ogni peccato è il rifiuto e l’emarginazione di Dio nella nostra vita, e questo per fare di noi stessi e del mondo un Assoluto, fare di noi la fonte e il criterio della Verità, di determinare ciò che è bene o male. Questo è inganno e menzogna.
La Sacra Scrittura mette in rilievo che, senza il riferimento reale a Dio, l’uomo perde il giudizio di verità riguardo a se stesso e nella valutazione delle cose; in secondo luogo cade nella dissolutezza morale.
“Alla tua luce vediamo la luce” afferma il salmo 36.
Private della luce di Dio e della relazione con Lui, le creature non sono più riconosciute nella loro verità essenziale e nella loro finalità. Si produce allora la vanità, un riposare sul nulla.
Allontanandosi da Dio, dice il profeta Geremia, “essi seguono ciò che è vano, diventano loro stessi vanità” (Ger 2, 5).
S. Paolo, nella Lettera ai Romani, mette in rilievo che il rifiuto di riconoscere e di adorare Dio è la causa prima della dissolutezza dei costumi.
Una delle caratteristiche principali del mondo pagano, nella valutazione di ebrei e dei primi cristiani, era la sfrenatezza sessuale nei pensieri e nelle azioni. In una società ridiventata, sotto certi aspetti, pagana, «ritorna lo sconciamento dell’uomo mediante la sessualità; eppure gli agnostici non lo avvertono e non lo presentano come uno sconciamento, bensì una glorificazione. Così i criteri di valutazione e la stessa capacità di giudizio vengono distorti dal pensiero ambiguo dell’uomo che si nega a Dio» (H. Schlier, La Lettera ai Romani, p. 119).
Il male, il peccato è per se stesso, per chi lo commette, un castigo, perché corrompe la dignità umana e l’orientamento al Bene insito nella nostra natura umana: “non c’è pace per i malvagi” (Is 57, 21). Il senso di colpabilità è un disagio oscuro che intristisce l’anima. L’uomo moderno ha scelto di affermare la propria autonomia ed indipendenza, la auto-determinazione, ma prescindendo da Dio e rifiutando Dio, non ha compreso né Dio né se stesso e così ha finito per compromettere la propria autentica libertà in una serie di dipendenze sempre più servili. Solo la giusta relazione con Dio nella verità e nell’amore assicura all’uomo l’autentica libertà.

2.         Il Tempo di Quaresima è un tempo propizio che Dio ci dona per una conversione spirituale.

La Chiesa, nella sua realtà profonda di “sacramento dell’intima unione con Dio” (LG 1), è chiamata a farsi interprete, mediatrice, educatrice dell’incontro dell’uomo con Dio, non un Dio generico, ma Dio “fatto carne”, Dio misericordioso rivelato e donato a noi in Gesù Cristo, che si è sacrificato per noi, con il cuore aperto sulla croce.

Si tratta, anzitutto, di educare e accompagnare all’incontro, all’esperienza di Dio, a stabilire una relazione con Dio, ad “adorare il Padre in spirito e verità” (cf. Gv 4, 23). La fede non è riducibile a idee su Dio, ma è accogliere Dio, amarLo e quindi fare la Sua volontà. Questo è il compito primario della comunità cristiana, e dovrebbe essere assunto con sapienza e coraggio dai presbiteri, diaconi, dai consigli pastorali, dai catechisti e dagli operatori pastorali. Perciò impegniamoci con generosità  a proporre e tener vivi i Centri di ascolto, la lectio divina, a educare allo stile di vita autenticamente cristiano, e quindi alla preghiera, alla sobrietà, alla carità, attingendo con abbondanza alle sorgenti sacramentali della Riconciliazione e dell’Eucaristia.
Si dovrebbe pensare anche a delle proposte mirate a persone che hanno lasciato la pratica religiosa, ma sentono, sia pur confusamente, il desiderio e la ricerca di un’esperienza spirituale.
La cultura prevalente del nostro tempo, diffusa dai media, è focalizzata sulla ricerca del benessere psico-fisico. Si sono moltiplicati i Centri di benessere, e le proposte ispirate a metodi e tecniche orientali.
Nello stesso tempo sono cresciuti il vuoto e i disagi dell’anima.
La dimensione specificamente spirituale della persona non è riconosciuta e la sensibilità spirituale si è come atrofizzata.
La persona allora è come alienata e non abita più a casa propria, perché «l’Io personale abita a casa propria nel centro dell’anima, se vive qui dispone di tutta la forza dell’anima e la può impiegare liberamente. È anche più vicino che mai al senso di ogni avvenimento e aperto a tutte le esigenze che si pongono, e dispone nel modo migliore per misurarne il significato e la portata. Ci sono però pochi uomini che vivono così “raccolti”» (E. Stein, Essere finito e Essere eterno, p. 454).
Scuotiamoci dalla pigrizia e dal torpore. Abbiamo il coraggio di proposte impegnative, ben motivate, anche per i giovani.

3.         Nella relazione autentica con Dio viene purificata, orientata e rafforzata la forza maggiore che abbiamo: l’amore. Dio è Amore, un amore che è dono di sé fino al sacrificio. Il Crocifisso è l’espressione insuperata di questo amore.
S. Agostino ha ricondotto la vita della città terrena, della società, a due tipi di amore: l’amore di Dio fino al sacrificio di se stessi e l’amore di se stessi fino al disprezzo di Dio e del prossimo. Dall’amore disordinato di se stessi, in contrasto con l’amore di Dio, scaturiscono il disordine e i mali sociali: ingiustizie, violenze, abuso del potere, corruzione, divisioni, inimicizie. Non è difficile rilevare questo degrado diffuso nella società odierna che ha effetti devastanti sotto il profilo educativo.
Purtroppo constatiamo pure che la crisi finanziaria ed economica continua a colpire soprattutto le fasce più deboli della società e la perdita del lavoro affligge molte persone e famiglie.
Tutti dobbiamo sentirci interpellati da questa situazione, in uno spirito di autentica solidarietà e con l’adozione di uno stile di vita ispirato alla sobrietà. Abbiamo la sapienza e il coraggio di riscoprire il valore dell’astinenza e del digiuno in questa Quaresima; digiuno dal cibo e dalle passioni disordinate.
Mi ha fatto impressione la frase di un autore riportata nell’incontro con i rappresentati del mondo del lavoro il 19 dicembre u.s.: «se la gente felice di questo mondo potesse percepire con i propri occhi e con le proprie orecchie la somma di dolori umani di cui sono fatte le loro gioie, la nostra società attuale crollerebbe immediatamente sotto il peso della sua indignazione» (Paul Painlevè). Al posto di “gente felice” mettiamo i ricchi, i potenti, chi guadagna stipendi spropositati. Non c’è forse un divario impressionante e scandaloso con tanta povera gente? Rileggiamo e meditiamo la parabola evangelica del ricco epulone e del povero Lazzaro (Lc 16, 19-31).
Nel tempo di Quaresima, contempliamo e meditiamo il Crocifisso: Gesù Cristo ha sacrificato se stesso per amore nostro. Ci ha insegnato e ci dà la forza di fare altrettanto. Non sacrifichiamo, dunque, gli altri per il nostro benessere e la nostra soddisfazione egoistica, ma sacrifichiamoci con amore per servire e aiutare a rendere felice il nostro prossimo.
Accogliendo la grazia della Quaresima, mettiamoci con vigore in cammino verso la Pasqua di Resurrezione.