L’analisi dell’ex sindaco di Padova Ivo Rossi: “Civismo vs personalismo e politica che assomiglia al wrestling”

 

Qualche giorno fa, Padova è stata protagonista di due conferenze su questioni di assoluto rilievo; una su “Geografie del cibo: processi migratori e trasformazioni geopolitiche”, tenuta nell’Aula Magna del Bo; la seconda su “Processo mediatico e dignità della persona”, organizzato dallo Studio Pinelli nella splendida cornice del MUSME (Museo della Medicina di via San Francesco). La contemporaneità è sicuramente un indice di vivacità culturale che poche città possono vantare

Se l’Università conferma il suo straordinario ruolo di produttore di conoscenza, di finestra aperta sul mondo,in grado di immettere continuamente aria fresca nella nostra città sulle grandi questioni che interrogano il nostro futuro, colpisce – del contemporaneo convegno sulla tutela della reputazione – che ad interrogarsi non siano state le tradizionali agenzie (partiti, sindacati, associazioni professionali o economiche) ma un rappresentante di quella che una volta si sarebbe definita ‘società civile’ che, dismessa la toga, ha sentito il bisogno di offrire alla comunità un’occasione di approfondimento su questioni che attengono ai diritti e alla dignità della persona. Proprio questa manifestazione, che racconta di uno spirito civico non sopito, ha reso più stridente l’assenza dell’amministrazione cittadina, oserei dire della politica più in generale, che ci si sarebbe immaginato essere destinataria delle riflessioni. Assenza rivelatrice di come il pensiero e l’approfondimento, necessari per affrontare i problemi del presente, non siano più merci pregiate e di come siano state sostituite dalla propaganda urlata, in cui troppo spesso si racconta ciò che la gente vuole sentirsi dire anziché fare i conti con i problemi e le loro difficili soluzioni. E’ un problema che non riguarda solo l’amministrazione cittadina, che non ha mai mostrato particolare interesse verso la riflessione, ma anche lo stesso centrosinistra, troppo spesso concentrato a misurarsi con le sue vicende interne anziché, come sta facendo Renzi a livello nazionale, stare dentro ai processi di cambiamento tracciando rotte da condividere con la ricchezza del nostro tessuto sociale.

E se la politica non è più in grado di fare i conti con la complessità, altri soggetti per fortuna finiscono per sostituirsi, aprendo nuovi spazi e contribuendo all’assunzione di una maturità consapevole all’intera comunità. Insomma una buona notizia che testimonia una vitalità da coltivare.

 

Diritto alla reputazione e dignità della persona.

Il tema del diritto alla reputazione, in una stagione di spettacolarizzazione del confronto politico e in particolare dei processi, unitamente alla rapidità della diffusione delle “notizie” attraverso internet e i social network, pone problemi nuovi e di complessa soluzione quanto a tutela della dignità della persona, perché i processi che in precedenza si svolgevano nelle sedi giudiziarie, o i confronti politici che si svolgevano nelle aule parlamentari o consiliari, finiscono per cambiare natura nel momento in cui si svolgono nell’aula mediatica, che per sua mission rovescia il principio della presunzione di innocenza a favore del principio di colpevolezza.

Come si vede, tema di grande rilievo attorno a cui hanno dibattuto Gaetano Silvestri, già presidente della Corte Costituzionale, Ferruccio De Bortoli, già direttore del Corriere della Sera e Giancarlo Giojelli della Rai, che, partendo da temi senza tempo quali reputazione, dignità umana, tutela dei diritti della persona e della sua privacy hanno finito per fare i conti con le mutate condizioni introdotte dalla velocità nella circolazione delle notizie, all’impossibilità della verificabilità delle stesse e all’avvento di tecnologie sempre più pervasive che erano inimmaginabili all’epoca in cui è stata scritta la nostra carta costituzionale.

Su questioni di così grande rilievo si è soffermato il Presidente emerito Gaetano Silvestri sottolineando l’impossibilità, in un sistema democratico e pluralistico, di trovare soluzioni facendo appello a immaginarie gerarchie di valori, gerarchie – come ha ricordato – in capo solo al “padre eterno”, che nemmeno la Corte può stabilire, a meno che non si parli di dignità della persona che è sintesi dei valori costituzionali, e dunque non può essere pesata in quanto è essa stessa la bilancia.

Nei nostri sistemi ognuno possiede una porzione di potere che, qualora incida sulla dignità, trova un limite nel fare. Come cittadini rivendichiamo più diritti, il diritto ad essere informati e ad informare, la libertà dell’informazione, il pluralismo come fondamento di un sistema libero e, sempre fra le libertà, il giusto processo. Proprio il giusto processo, con tutti i suoi contrappesi, è cosa assolutamente diversa dal processo mediatico, quello che mette in scena il Vespa di turno, un processo finto, dove non esiste un giudice terzo. Ma questa rappresentazione, l’unica a cui spesso il cittadino spettatore assiste, finisce per corrompere il senso comune, per introdurre varianti al diritto ad essere informati che sfociano nel voyeurismo, in cui diventa centrale la spettacolarizzazione del dolore delle vittime, a cui spesso viene chiesto, magari appena hanno subito un lutto: “ma lei perdona l’assassino?”.

Temi dunque di grande delicatezza che interrogano i produttori di informazione, a cui ha risposto Ferruccio De Bortoli ricordando come non ci sia ombra di dubbio sulla responsabilità dei giornalisti nella spettacolarizzazione dei processi, e in particolare della televisione che trasforma la piazza in luogo di giudizio (‘piazza’ che fra Barabba e Gesù scelse Barabba, come ha ricordato Fabio Pinelli). In alcuni casi però, come nella vicenda Tortora, il processo mediatico è diventato lo strumento per raccontare una verità diversa rispetto a quella formulata dall’accusa, fungendo da raccoglitore di prove a favore dell’imputato.

La sintesi dell’incontro promosso da Fabio Pinelli è, per forza di cose parziale, ma racconta di temi di assoluta attualità, non solo nel processo ma anche nelle vicende politiche, dove l’insulto sembra essere diventato una modalità “normale” del confronto, dove l’avversario diventa degno del peggior epiteto e dove la giustizia latita, avendo finito per considerare l’arena politica come un luogo dove si applica un altro diritto, dove i confini della dignità personale sono dilatati, e dove le regole assomigliano a quelle dell’arena di wrestling: dove ce le si può dare o dire, senza alcun limite.

E anche questo è un tema che meriterebbe, insieme al processo, di essere approfondito per evitare che la barbarie diventi lo stile dei rappresentanti del popolo, a questo punto ridotti a gladiatori nell’arena per il piacere del popolo stesso.

 

Ivo Rossi

Padova 14 ottobre 2015