Lettera sul vecchio ospedale e su com’è la sanità, vista da un amico poeta, mentre i politici litigano sui metri cubi

 

Un amico carissimo, saggio e poeta, scrive quanto segue, chiedendo di non comparire in nome e cognome. Leggete quanto ha scritto, senza interrogarvi su chi sia. Perchè come in sanità, non vale il chi, vale il cosa.

Sono un paziente ed un professionista nel campo della sanità.
Inizio con un elogio al personale che lavora nel Monoblocco dell’Ospedale Civile di Padova, infatti ho trovato una signora bionda e gentile al CUP e negli ambulatori ho visto medici e infermieri che lavorano con coscienza e pazienza, pur in condizioni indiscutibili di difficoltà, sia con gli anziani che con i bambini impauriti e piangenti.

Ma non può essere che i tempi di attesa, rispetto all’orario di prenotazione, si dilatino di due, tre o più ore per l’afflusso continuo di urgenze dal Pronto Soccorso o da altre strutture esterne. Un Pronto Soccorso dovrebbe avere nella sua dotazione degli ambulatori per la gestione delle urgenze chirurgiche, mentre gli ambulatori di visita e medicazioni dovrebbero operare su un altro piano di gestione e di autonomia. E’ questione senza dubbio di organizzazione, che vedo assai carente, e ciò mi stupisce in una città con una tradizione medica di eccellenza.

Ed è questione di spazi, ce ne vorrebbero di certo assai di più. Vedi infatti infermiere che escono da stanzini, quasi bugigattoli, colmi di materiali, schivi barelle e lettini abbandonati lungo i corridoi, scopri voluminose attrezzature mediche coperte da teli, altre supellettili e armadi in bella vista coronati di scatoloni. Incontri persone che fanno lo slalom o si appoggiano al muro in attesa di chiamate che ritardano, non certo per colpa degli operatori, bravi e pazienti nel districarsi in simili frangenti, ma per una disorganizzazione che è alla base di tutto.

Non parlo di sterilità degli ambienti, per carità di Dio, ma di semplice igiene. C’è un mix di persone di tutte le età e di tutte le condizioni, la malattia non guarda in faccia nessuno, ma ci sono percorsi facilitati per l’accesso alle cure dei bambini piccoli, dei vecchi, dei pazienti più deboli? Ci sono servizi igienici per i bambini, oltre che per gli adulti?  Spazio ci vuole, e organizzazione, e dirigenti che girino per i reparti a vedere le difficoltà della gente, ad ascoltarne le giuste lamentele.

Non è possibile che, per carenza di spazi, in un reparto di urgenza un bambino con una malattia respiratoria condivida la stanza con coetanei affetti da altri virus delle vie aeree, prima che ci sia una diagnosi precisa.

Ci vogliono spazi, tanti e subito, i nostri amministratori devono quindi smetterla di baloccarsi in questo gioco di scaricabarile senza fine, devono decidere il prima possibile l’ubicazione del nuovo ospedale, senza remore di eventualmente condividere il progetto di Tizio, di Caio o di Sempronio, senza farsi condizionare da partiti e gruppi di potere. Un grande ospedale che nasca finalmente con ogni spazio definito e destinato, in linea con le impostazioni più moderne, dove chi lavora si senta a suo agio per operare nel migliore dei modi. E dove la grande tradizione universitaria di studio e di ricerca abbia le migliori opportunità di vita e di espansione. Siamo a Padova, diamine, non a Canicattì:

Le persone hanno una loro dignità, hanno bisogno di cure, e in questo loro bisogno sono più deboli. Vogliono i politici approfittare di queste debolezze e rimandare le decisioni alle calende greche? Spero proprio di no, abbiamo bisogno di credere in qualcuno, di pensare che chi ci governa pensa anche a noi, sopratutto nei periodi di crisi come questo, quando la salute diventa un’ancora di salvezza fisica e psicologica.

Sento in ogni caso tante, troppe persone arrabbiate. E’ questa la città, è questa la sanità che vogliamo?

 

Lettera firmata