Ma dove vivono i padovani che parlano del nuovo e vecchio ospedale?

 

Leggo in questi giorni le cronache sulla disputa vecchio e nuovo ospedale. E mi domando dove vivano quelli che parlano e quelli che scrivono di questa vicenda. Stanno sempre bene? Hanno mai avuto bisogno di curarsi nell’attuale complesso? Io purtroppo non sono sempre stato bene, sono stato a lungo paziente di ortopedia, chirurgia plastica e infettivologia. Poi sono diventato papà ed ho preso familiarità con ostetricia e ginecologia. Mio padre e mia mamma in particolare sono affezionati frequentatori di medicina e cardiologia. Le costanti di tutti i reparti elencati sono tre: una umanità e una professionalità di cui essere orgogliosi, all’opera in una struttura di cui ci si può vergognare e posizionata in un labirinto a rischio traffico e dove parcheggiare è impossibile.
Ad ortopedia non c’è la tac. Se devi fare la tac la caposala chiama i portantini. I portantini quando possono arrivano ti sbloccano il letto, ti caricano sull’ascensore, ti caricano in ambulanza (a gennaio l’esperienza è simile a quella del passaggio dalla sauna al frigidarium latino tramandataci sui libri di scuola, con ottime chanche di polmonite), di portano alla tac più vicina e poi al ritorno il percorso è inverso. Durata media del percorso 3 ore. Certo non hai altro da fare, si dirà, ma l’impressione di essere un pacco ce l’hai comunque. Nel frattempo saltano terapie e a volte anche le medicazioni. Nel caso di analisi urgenti, il percorso non lo fai tu, ma la provetta che di giorno viene affidata ad un volontario dell’A.V.O., di notte se c’è a un familiare, altrimenti ci si arrangia.
Quando stestti ancora più male venni trasportato in ipossia grave da ortopedia al reparto di terapia intensiva del Sant’Antonio, anche in questo caso in ambulanza. Stesso effetto termico descritto prima (ho il vizio di star male specie d’inverno) ma con il plus che non lo sentivo perchè ero entrato in pre coma.
I dottori lavorano in condizioni di emergenza perenne in quel reparto come anche negli altri che ho citato. Mi ricordo ancora le mattonelle bianche che mi ricordavano le vecchie latterie, della sala risvegli della chirurgia plastica, con scatoloni ammassati dia fianco alle barelle perchè l’archivio o non c’era o era in ristrutturazione/manutenzione e contemporaneamente la cortesia di Francesco Mazzoleni e Bruno Azzena. Il 21 dicembre del 2012 doveva essere la fine del mondo secondo i Maya. Per me fu la mattina in cui cercai di portare il più velocemente possibile mia moglie in ospedale. Partiti alle 9.25 minuti da via Decorati al valor civile, sono cinque chilometri, secondo Google maps avrei dovuto impiegare 13 min uti a percorrerli. Ma era il venerdì prima del Natale: arrivammo in reparto alle 10.15, mia moglie diede alla luce nostra figlia 30 minuti dopo. Io ci misi 20 minuti a parcheggiare (e sono disabile, per i motivi che si intuiscono sopra). Se ho visto nascere mia figlia anzichè attendere in doppia fila che si liberasse un posto nel parcheggetto di pneumologia lo devo al pass arancio, alla mia gamba-puzzle ed alla comprensione di un parcheggiatore.
Quando vado a trovare i miei genitori non faccio testo: posso entrare in auto e parcheggiare nei posteggi arancione. I miei fratelli si fanno una passeggiata di un quarto d’ora e pagano in media 3 euro di parcheggio.
Quanto sia difficile parcheggiare in ospedale chiedetelo a Gioacchino Bragato, ai tanti nonni vigile che fanno ciò che possono per gestire le urgenze di ognuno, ed alle centinaia di persone che in ospedale ci lavorano, e devono parcheggiare chissàdove.
Questi sono pensieri sparsi, per nulla tecnici, di uno che all’ospedale di Padova ci ha passato in tutto almeno un centinaio di giorni tra ricoveri e day hospital negli ultimi dieci anni. Sono contento che Massimo Bitonci abbia nominato Adriano Cestrone nella commissione sulla valutazione del nuovo ospedale. Cestrone mi è sempre parsa una persona onesta. Ha lavorato per 20 anni in quel dedalo di viette che sembra costruito per un percorso automobilistico. Saprà spiegare che in un ospedale moderno ci si muove nei corridoi e non sui pullmini a gasolio. Negli ospedali moderni arrivano i tram, e se si arriva in auto si può parcheggiare. Negli ospedali moderni non trasporti un paziente da terapia intensiva in pullmino sperando che non ti muoia a bordo e non ci metti 50 minuti ad arrivare, con a fianco tua moglie con le contrazioni ogni 3 minuti.

Alberto Gottardo