Quando essere malato ti costa più di una cena da Cracco: eccellenza sanitaria veneta tra palco e realtà

 

“Meglio che vai al pronto soccorso, che mi sa che finisce come l’altra volta”. Concetto espresso da due medici che mi conoscono bene. Uno è il mio medico di base, che ricorda a menadito tutta la mia storia clinica. L’altro è un medico specializzato in ortopedia che proprio sulla mia gamba sinistra si è esercitato un bel po’, assistendo a una mezza dozzina di operazioni tra le molte che chi scrive ha dovuto subire negli anni. La volta prima dell’altra volta era un dicembre del 2006. Stessi sintomi dell’altro giorno: dolore e arrossamento localizzato, febbre alta. Osteomielite scrissero i medici, che poi mi sottoposero a tutte le cure del caso. Solo che poi le cure del caso non furono sufficienti e alla fine finii anche in come in terapia intensiva. L’altra volta era il 2011, luglio, faceva caldo eppure proavo freddo. E in un’ora la temperatura corporea passò da 37,6 a 41. Mi portarono in pronto soccorso in ambulanza. E l’ortopedico di turno quella volta scrisse “bronchite interstiziale”. La mattina dopo tornai in pronto soccorso, il medico di turno alle malattie infettive scosse la testa borbottando “ma quale polmonite, coglione” e dal reparto con il ballatoio esterno con le visite al citofono uscii tre settimane dopo con dieci chili in meno.
L’altro pomeriggio sono arrivato al pronto soccorso alle 15, sapendo già cos’avevo, e conscio che sarebbe durata un bel po’. Ne sono uscito alle 22 con un conto da 128 euro. “La sua malattia non era nella fase acuta, comunque faccia 15 giorni di antibiotico e mi raccomando stia attento ai sintomi”. E se mi ritornano i sintomi? “Senta il suo medico, casomai torni qui al pronto soccorso” mi dice il medico che nonostante ciò mi stacca il conto da 128 euro. Alle mie rimostranze abbozza un “eh magari senta il suo medico di base se c’è una esenzione, sa noi dobbiamo fare così”. Noi dobbiamo fare così. Spremere un malato come se fosse uno che è andato al pronto soccorso per uno sfizio. Chissà quanta vergogna prova quel funzionario dello stato in camice e stetoscopio quando deve affermare nel modulo della burocrazia regionale che uno con la mia storia clinica poteva aspettare che passasse il ponte del primo maggio per fare radiografie e analisi del sangue. Chissà che contenti saranno i dirigenti medici sopra di lui quando domani entreranno nelle casse dell’azienda ospedaliera i miei 128 euro e 60 centesimi. La tassa che pago sulla mia malattia, che “è meglio che prendi subito gli antibiotici che se parte un trombo come quella volta, poi sono cazzi” mi dice l’ortopedico amico, lo stesso che era in ambulatorio ieri pomeriggio. Lo stesso che mi dice “vedi i globuli bianchi sono tranquilli, ma la Psa è alta, segno che ci siamo mossi bene”. E io sono contento, perchè stavolta ci siamo mossi bene e non sono finito nè in coma nè agli infettivi. Però insomma, a me verrà un po’ di vergogna quando sentirò Luca Zaia che dice che la sanità in Veneto è un’eccellenza ed è gratuita per tutti. Gratuita un cazzo, signor presidente. Gratuita finchè stai bene. Perchè in Veneto c’è la tassa sulla malattia. Io la pago 128 euro. Quasi come una cena da Cracco. Buon appetito a lei ed ai suoi colleghi di Giunta e Consiglio, pagati 9000 euro al mese, fatti da una sanità che credevo di aver già pagato con le mie tasse. Ma evidentemente non vi bastano. Ed allora beccatevi anche altri 128 euro e 60 centesimi.

Alberto Gottardo