Piccoli o grandi ospedali: la testimonianza di Micaela Faggiani e anche due o tre cose che i pazienti dovrebbero considerare

 

Da Micaela Faggiani, giornalista di Telechiara riceviamo e pubblichiamo, ma anche, più sotto, replichiamo:
Tempo fa riflettevo sulla questione “ ospedali piccoli, di provincia – ospedali grandi” e cercavo di capire cosa è giusto…se tagliare le piccole strutture, chiuderle per potenziare i grandi ospedali e razionalizzare la spesa sanitaria…o mantenere in piedi i piccoli ospedali comodi alle persone che ci abitano vicino, soprattutto anziani, bambini e famiglie…e devo dire che da giornalista ed “esterna” propendevo per la prima ipotesi…oggi da “interna” dopo l’esperienza che mi è capitata questa estate con la frattura di 4 dita del piede e la sub amputazione di una falange nell’ospedale di Chioggia devo assolutamente ricredermi e dire GRAZIE in particolare a due medici che mi hanno seguito e curato bene e con amore della propria professione. Parlo in particolare del dottor Tiozzo responsabile del pronto soccorso dell’ospedale di Chioggia e dell’ortopedico dottor Menegazzo ai quali va un plauso da paziente e da giornalista e un grazie per avermi salvato un piede ridotto male dopo un incidente tra la moto dove ero trasportata e una macchina che mi ha schiacciato e tagliato le dita del piede sinistro.

Era il 10 luglio scorso  e l’incidente avveniva a Valli di Chioggia di ritorno da Sottomarina. Tralascio di raccontare tutte le traversie che mi sono capitate perché le scriverò successivamente. Quello che posso raccontare è che di fronte ad un’emergenza, ad un dito che POTEVA e sottolineo poteva essere salvato e riattaccato, solo la buona volontà accanto alla professionalità di un medico svegliato nel cuore della notte tra sabato e domenica hanno fatto sì che oggi ho tutte le cinque dita del piede sinistro anche se una di queste dita è più corta e malconcia. Di fronte a questa emergenza, visto che si trattava di un piede e del dito di mezzo ( il meno importante ai fini dell’equilibrio e del rimborso assicurativo) nessun ospedale del Nord Italia contattato dal Pronto Soccorso di Chioggia, sulla base del quadro clinico prospettato, si è preso la briga la domenica mattina di operarmi e di tentare di salvare il dito. Come risposta il fatto che un nosocomio era più specializzato nella mano, uno che il quadro clinico era già scritto e che non si poteva salvare il dito, un altro che era più conveniente per evitare problemi successivi amputare il dito che tanto “ poco serviva” per l’equilibrio. Seduta sulla barella del pronto soccorso con un sacco di male in corpo sentire queste parole mi ha gelato e mi ha davvero gettato nello sconforto. Neanche un giro a proprie spese in taxi alle 4 del mattino dall’ospedale di Chioggia a quello di Padova per tentare di farsi operare in un nosocomio importante, ultra blasonato, che conoscevo è servito a qualcosa. Anche qui non c’era nessuno disposto ad operarmi. L’unica alternativa che avevo era dunque ritornare sempre da esterna nell’ospedale di Chioggia dove il dott. Menegazzo con grande umiltà mi aveva detto prima di partire per Padova . “ Vada a Padova che è un ospedale più servito e dove ci sono specialisti capaci di operare anche i casi più difficili. Se però nessuno la vuole operare io se vuole ci provo e cerco di salvarle il dito” . E così è stato.

Alle 9.30 del mattino di domenica dopo aver dormito qualche ora dopo la mia emergenza notturna il dott. Menegazzo ha imbracciato camice e mascherina e mi ha operato dandomi 9 punti, infilando due fili di kirschner su due dita, togliendo una piccola falange dal dito incriminato e prescrivendomi 32 sedute urgenti di camera iperbarica per ossigenare il dito sub amputato. Oggi dopo oltre un mese e mezzo di ossigenoterapia, di visite ortopediche, di medicazioni, di stampelle e scarpa ortopedica attendo con gioia la rimozione dei fili e la riabilitazione per tornare a camminare abbastanza normalmente. Il dito incriminato è abbastanza rigido, bruttino esteticamente ma almeno c’è e sta bene. 

E il merito va ai due medici che mi hanno seguito, che hanno creduto al loro lavoro, che hanno voluto aiutarmi e curarmi, nonostante l’emergenza, il quadro clinico, l’estate, il week end , la dimensione dell’ospedale e senza avere un cognome blasonato nel mondo sanitario del Nordest. Di qui il mio ricredermi di fronte alla questione piccoli/ grandi ospedali e un appello al mondo sanitario e ai medici perché ricordino il famoso giuramento di Ippocrate e soprattutto che di fronte a loro arrivano persone e non numeri, giovani, anziani, bambini…comunque malati o bisognosi di cure che si affidano a loro perché altro non possono fare. E con la speranza di guarire e di stare bene perché di fronte a loro hanno un medico che ha studiato e fatto anni di specializzazione proprio per cercare di guarire le persone. Almeno cercare di guarirle. La speranza non si nega a nessuno.

————-

Avendo anch’io maturato una esperienza di ospedale credo che vada chiarito quanto segue:

io ho fatto una dozzina di operazioni (il numero esatto se lo ricorda mia mamma) in tre anni, finendo per almeno tre volte a due passi dalla trista mietitrice, per una tibia e perone pluriframmentato scalpo del tallone, amputazione prima falange indice mano sinistra frattura quinto distale stessa mano, frattura ulna braccio sinistro e, cosa più grave delle precedenti, rottura del fegato con emorragia interna che ha interessato lo stomaco e gli organi vicini. Causa osteomielite poi finii anche in coma in rianimazione per tre settimane. E credo di poter dire Micaela che i piccoli ospedali vanno bene se appunto ti sei fatta una frattura di un dito del piede. Se sei in pericolo di vita realmente, ti garantisco, meglio i grandi ospedali. Tutte e quindici le volte che sono finito sul tavolo operatorio ho trovato nel grande ospedale di Padova delle persone che non mi trattavano come un numero, anzi. Certo se volevo coccole e tanta comprensione perchè mi ero fatto del male ero nel posto sbagliato, perchè lì in ortopedia a Padova arriva gente che rischia, come rischiavo io, l’amputazione di una gamba o di un braccio o di finire in sedia a rotelle. Non ho rotto i coglioni, ho stretto i denti e sono tornato a camminare quasi normalmente. E credo questo sia il dovere di un paziente che dovrebbe fare anche lui un giuramento: quello di non lamentarsi, essere appunto, paziente.

Un dottore che mi aveva fatto la maggioranza delle operazioni di ortopedia, quando sono tornato in ortopedia con una sospetta osteomielite, ha forse sottovalutato la cosa. Ma caspita era quello che di fatto mi aveva salvato la gamba, assieme, al tempo a quel monumento dell’ortopedia che era Sisto Turra, purtroppo morto poco dopo la pensione un paio di anni fa. Quando poi sono stato operato da un altro dottore e ricoverato in rianimazione sono stato dimesso, 40 giorni dopo il ricovero. Al momento delle dimissioni quel medico si scusò ed io decisi di non accettare quelle scuse, perchè per me quel dottore, anche se forse nel mio caso ha “sottovalutato” la situazione, è un eroe. Perchè opera anche il 24 dicembre di pomeriggio, perchè è quello che mi ha medicato la gamba per primo, aiutato dal caposala, l’8 di dicembre. Perchè è uno che ha una passione sconfinata per il suo lavoro, e forma generazioni di dottori, magari in maniera burbera come faceva Turra. E allora questa gente che salva la vita tutti i giorni, come è successo nel mio caso, rifiuta di riattaccare una falange di un dito, io credo che non siano da biasimare. Quello lo possono fare anche a Chioggia

Alberto Gottardo

ex paziente del secondo piano dell’ortopedia quando primario era il mitico Sisto Turra, ma anche della rianimazione del Sant’Antonio e del reparto di chirurgia plastica (due o tre volte) diretto all’epoca dal dottore Mazzoleni e poi da Bruno Azzena