Ascom analizza le spese dei padovani. Shopping col contagocce

 

Magari spiace, perchè erano secoli che ci eravamo abituati, ma dire oggi che un qualsiasi prodotto “va via come il pane”, rischia di posizionarlo in bassa classifica.
Il pane, infatti, come la carne di vitello e persino il latte, “battono in testa” e segnano andamenti, chi più chi meno, negativi. Per contro continuano a salire le vendite di telefonini e palmari di ultima generazione, “tavolette” elettroniche e tv hd e Sky registra, ogni tre mesi, 30 – 40 mila nuovi abbonati in Italia.
“L’impressione – commenta il direttore generale dell’Ascom di Padova, Federico Barbierato – è che le famiglie si tolgano il pane di bocca per investire gli ultimi soldi sulla tecnologia e sul calcio, ma a giudizio degli esperti non è affatto così”.
Prova ne sia il grido d’allarme lanciato dalla Confcommercio di Napoli che ha chiesto di ridurre il numero delle partite serali del Napoli perchè, ai gol di Cavani & C. corrispondono sempre meno tavoli occupati nei ristoranti partenopei. Tradotto: il calcio in tv, per una famiglia, costa ben meno che una cena al ristorante!
“E’ un fenomeno che, in parte, stiamo registrando anche a Padova – conferma Barbierato – anche se non possiamo dire che si sia in presenza di una flessione significativa nella ristorazione. Quello che invece possiamo senz’altro confermare è che anche i padovani hanno smesso di pensare alla crisi come ad una cosa passeggera e si stanno progressivamente attrezzando per un lungo “attraversamento del deserto” che non è dato sapere quando finirà”.
Ed ecco allora che i carrelli nei supermercati non sono più così pieni come un tempo e la spesa, da rito settimanale, diventa impegno quotidiano. Più limitato e anche più oculato.
“Forse è il caso di dire che “non tutto il male vien per nuocere”- aggiunge Barbierato – visto che la spesa quotidiana sta indirizzando i consumatori verso le strutture più piccole (superette e negozi specializzati del comparto alimentare) e, al tempo stesso, riduce sensibilmente gli sprechi. Prima che la crisi riducesse il risparmio a livelli mai raggiunti da undici anni a questa parte, si buttava fino al 30 per cento del frigorifero”.
Eppure non è colpa dell’alimentare e neppure delle altre spese per così dire “libere” se i padovani sono costretti a ricorrere al negozio di cuoio-pelli per aggiungere un buco alla cintola.
“Chi sta falcidiando stipendi, pensioni ed introiti delle imprese – conferma il direttore dell’Ascom – sono le cosiddette spese obbligate: luce, acqua, gas, carburanti, istruzione, rifiuti, affitti o mutui, trasporti, servizi bancari ed autostrade. In pratica tutti quei settori dove non esiste una concorrenza reale o che, addirittura, operano in regime di monopolio. Purtroppo queste spese fisse ed in generale i servizi in quanto tali, raggiungono il 51 per cento dell’esborso delle famiglie. Se a questa percentuale aggiungiamo un 20 per cento circa di obbligo alimentare si capisce bene che, per tutto il resto, rimane ben poco”.
Ecco dunque spiegata la crisi dell’abbigliamento-calzature che, nella realtà padovana, si traduce nella chiusura di diversi esercizi in parte rimpiazzati da un turn over peraltro molto sostenuto o dall’arrivo delle grandi griffe internazionali, probabilmente le uniche in grado di pagare i proibitivi affitti di alcune aree del centro cittadino.
Nonostante questo si progettano nuove grandi strutture di vendita e centri commerciali.
“Un’evidente dimostrazione – conclude Barbierato – di cosa rappresentino, realmente, quelle strutture: un investimento immobiliare in buona parte destinato a non dare frutti se non chissà fra quanto, ma intanto in grado di “rubare” sempre più territorio ad una regione che, in quanto a capannoni, non è seconda a nessuno. Purtroppo”.