Confapi Padova dalla parte dell’Europa: da quando esistono i trattati le aziende padovane hanno esportato 158 miliardi di euro

 

Un totale di 152 miliardi. È la somma delle esportazioni di beni e prodotti delle imprese di Padova in Europa dall’entrata in vigore dei trattati di Roma che sancirono la nascita della Cee (1° gennaio 1958) a oggi. Lo ha stimato Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, attualizzando i dati forniti da Unioncamere del Veneto ai valori attuali. Allargando la prospettiva alla regione, la stima sale a un totale di 963 miliardi nel corso dei 61 anni che ci separano da quella data fondamentale. A pochi giorni dal voto, l’Associazione delle piccole e medie industrie ha voluto rimarcare quanto contino le elezioni europee, perché il loro esito tocca la realtà del territorio in modo più concreto di quanto non si pensi comunemente.
Nel complesso, le esportazioni nel continente da quando è entrata in vigore l’unione doganale incidono per il 62% di quelle complessive venete. Tornano allo specifico padovano va inoltre rimarcato come la tendenza degli ultimi anni sia quella di un aumento costante: nel 2016 le esportazioni delle imprese padovane verso i 28 stati dell’UE ammontavano a 5,470 miliardi, saliti a 5,728 nel 2017 sino ad arrivare a 6,035 nel 2019, con un’incidenza del 60,4% sul totale delle esportazioni della provincia (che è di 9,987 miliardi).

«In vista dell’appuntamento elettorale di domenica 26 maggio troviamo doveroso tenere alta l’attenzione», afferma Carlo Valerio, presidente di Confapi Padova. «Lo facciamo perché siamo fermamente convinti che, senza un mercato unico europeo, il nostro territorio non sarebbe mai diventato quello che spesso viene definito la locomotiva d’Italia. Al contrario, saremmo molto più poveri e deboli. Ed è necessario tenerlo presente oggi, nel momento in cui si assiste continuamente a prese di posizione populiste che spingono nella direzione opposta: tornare indietro rifugiandosi nel proprio orticello locale, oltre a rappresentare un gigantesco fallimento politico, avrebbe anche pesanti conseguenze sulle economie nazionali».

Ciò non significa che non esistano elementi di criticità. «Ma proprio per questo», aggiunge Valerio, «occorre che chi sarà eletto voglia e sappia affrontare sfide determinanti per i cittadini e per le imprese, volte alla crescita economica. Come abbiamo rimarcato in occasione del lancio del manifesto preparato da Confapi e Cea-Pme “Cosa vogliono le Pmi europee”, vogliamo che il nostro voto conti. Non dimentichiamo che il 70% delle leggi che interessano le piccole e medie industrie private ha origine a Bruxelles e Strasburgo e che le Pmi rappresentano il 50% degli elettori europei. Dei 23 milioni di aziende registrate in Europa il 99% sono Pmi. E sono sempre le Pmi che formano l’80% dei lavoratori qualificati, impiegano il 60% dei lavoratori e creano i due terzi della ricchezza. Ecco perché le elezioni europee ci riguardano da vicino. Ed ecco perché come Associazione dobbiamo far sentire la nostra voce».

Il manifesto “Cosa vogliono le Pmi europee” chiede di istituire una “politica per le Pmi” dell’UE a tutti i livelli, rivalutando il principio di sussidiarietà e mettendo al centro i valori comuni nell’ottica dell’integrazione europea. Partendo dall’assunto che non c’è occupazione senza imprenditori che assumono le Pmi europee chiedono la riduzione e la semplificazione della burocrazia, lo sfruttamento del mercato unico interno, l’equità e l’uniformità fiscale, la responsabilità comune della migrazione, più ricerca e innovazione, istruzione e formazione professionale, libero scambio a dimensione di Pmi, e una politica estera e di sicurezza comune.