Due o tre cose che chi mi ha ascoltato a Radio Padova stamattina dovrebbe sapere, su di me, sulla nave Aquarius e sul perchè delle volte mi incazzo tanto

 

Questa mattina mi sono svegliato con una brutta sensazione, dopo che domenica sera avevo fatto tanta fatica a prendere sonno. Nella testa continuavano a ronzarmi le immagini della nave Aquarius, quel numero, 629, e altri numeri, 17 e 7, quelli dei bambini e delle donne incinte a bordo di una nave troppo piccola per un così grande numero di persone. E continuavo a domandarmi: cosa posso fare? Me lo sono domandato stamattina alle 5 quando, come ogni mattina, guardo le mie bimbe che dormono serene nei loro lettini. Hanno 3 e 5 anni, sono coetanee delle bambine che hanno dormito in queste notti sul ponte di una nave, trattate come fossero rifiuti tossici anzichè persone, da una Patria, la mia, che ha visto partire milioni di italiani per il resto del mondo. Ho pensato a mio papà, stamattina, andando in radio: mio padre migrante alla fine degli anni ‘50 in Svizzera nel cantone di Zurigo, trattato come un cane dagli svizzeri. Ho pensato a mio nonno, che finì prigioniero della banda Carità a Padova, torturato per quaranta giorni a palazzo Giusti, perché nascondeva dei piloti britannici dalla morte certa per mano dei fascisti alla fine della guerra. Mio nonno in quegli uomini non aveva visto dei nemici, aveva visto nei loro occhi la stessa paura che lui aveva provato durante due guerre, aveva riconosciuto in quegli uomini nient’altro che degli uomini, appunto. Aveva capito, lui che aveva la quinta elementare e che era nato alla fine del diciannovesimo secolo, che gli uomini non li puoi trattare in maniera diversa solo perchè qualcuno ha deciso che li devi odiare. Ed allora io avevo il dovere di dire la mia, di non tradire l’insegnamento di mio nonno e di mio padre.
Ed ho sentito nel mio sangue la necessità di dire la mia, in maniera schietta, rabbiosa, attraverso un mezzo potente, usato troppo spesso per diffondere odio: la radio. Ho spiegato questa mattina cosa mi capita quando vedo quelle immagini, quando vedo quei bambini e quelle bambine e quegli uomini, che potremmo essere io e la mia famiglia se la lotteria della vita ci avesse fatti nascere in Eritrea anzichè in Italia.
Ho a tratti ruggito tutta la mia rabbia,  verso una direzione che questo nostro Paese sta prendendo, verso un popolo che si è definito tanto spesso di “brava gente” e che invece indulge in pensieri pericolosi, in fatalismi di morte che non mi appartengono. Io credo che essere italiani significhi ribellarsi a chi vorrebbe toglierci l’umanità, l’unica vera dote di questo popolo che ha patito tanto quando gli è capitato di essere povero e migrante.

Sono stato criticato, anche duramente, da alcuni ascoltatori sia direttamente sui social che attraverso mail molto dure arrivate alla radio. Quelle critiche le ho lette cercando di capire il punto di vista di chi mi ascolta. E spero che chi i ascolta leggendo queste righe capisca meglio il mio.
Grazie a Dio ho un editore che non la pensa come me ma che mi lascia totalmente libero di dire tutto quello che penso, purchè quello che dico sia argomentato con fatti reali e dati difficilmente oppugnabili. Grazie a Dio ho un direttore che sa che io sono fatto così, che quando parlo lo faccio con il cuore oltre che con la testa. Sanno, gli amici di Radio Padova con cui ho l’onore di lavorare da oltre un anno, che io sono così, senza filtri, con tanti spigoli. Però vero, senza finzioni nè ipocrisie. Lo sa anche Roberto Marcato, con cui mi sono scontrato in maniera più che ruvida. E lo sa mia moglie che capisce che in giornate come queste mi sento un leone dentro alle budella, e che quel leone ogni tanto mi fa urlare al mondo tutta la mia indignazione.
Tante volte mi avrebbe potuto far comodo girarmi dall’altra parte, far finta di non vedere, lasciar fare. Ma io non sono fatto così, e il prezzo della mia libertà l’ho sempre pagato.
La libertà che vivo a Radio Padova in questi mesi è totale, e mi fa tanto bene al cuore in una regione dove troppo spesso ho visto far carriera ai più docili più che ai più bravi. Domani saremo di nuovo in onda, cercando di fare sempre meglio questo programma durante cui ci si incazza, ci si confronta, in cui gli ascoltatori con i messaggi vocali sono protagonisti tanto quanto chi, come me,  ha il privilegio di avere un microfono davanti alla bocca e la presunzione di avere anche qualcosa da dire.
Grazie ai tanti ascoltatori che mi hanno scritto su facebook, grazie anche a quelli che mi hanno apertamente criticato. Tra qualche anno quando la storia ci giudicherà tutti, e quando le mie bimbe mi domanderanno da che parte stavo potrò dire loro: ero in radio, a cercare di spiegare al piccolo pezzo di mondo che mi stava ascoltando perché la notte facevo fatica a dormire quando c’era la nave Aquarius ferma al largo di Malta. Voi dormivate tranquille nei vostri lettini, il papà provava a rendere, di un granello appena, questo nostro mondo un po’ meno ingiusto e carogna.

Alberto Gottardo
Speraker del Morning show di Radio Padova