Suicidi: tutta colpa della crisi? Le risposte di chi voleva morire

 

Il suicidio spiegato da chi ha provato a togliersi la vita. Riceviamo e pubblichiamo:
Sento parlare di suicidi per debiti e per mancanza di lavoro. E credo di aver da dire qualcosa in proposito. Io sono sopravvissuto a un tentativo di suicidio. Avevo perso il lavoro, si’, ma non è stato questo che mi ha fatto appendere una corda alla scala di casa.
E ad ogni caso di suicidio raccontato sui giornali sento gente riempirsi la bocca di parole senza senso, lontane anni luce dalla realtà umana di chi finisce nel tunnel senza uscita. E comunque ne parlano sempre tutti da fuori. E allora questa volta vorrei raccontarvela da dentro.

Ho tentato il suicidio giusto un anno fa. Ce l’avevo quasi fatta, e ho maledetto chi invece mi ha preso per i capelli, rinchiuso in Psichiatria, riempito di farmaci e rintontito. C’era chi mi diceva che ero pazzo a pensare di uccidermi ‘solo’ perché non avevo lavoro. Mi dicevano che avevo un bambino picciolo e che ero anche un irresponsabile. Ma non ero affatto pazzo e nemmeno irresponsabile, e vorrei spiegarvi i meccanismi che si muovono da dentro e che azzerano la luce che avrei dovuto vedere infondo al tunnel. Io ero felice. Avevo il mio meraviglioso lavoro fatto di croci, frustrazioni, soddisfazioni, lacrime e sorrisi. Avevo dei colleghi anche, con cui parlare, confrontarmi. Le relazioni contano. Svegliarsi con l’idea di fare qualcosa, vestirsi, curarsi, prepararsi e uscire. Incontrare gente, sintonizzare la mente su cose che sai fare e che ami fare, condividere le idee, litigare, stancarsi, e molto anche. E poi è vero, avevo, e ho ancora, un bambino. A cui ho portato via del tempo, a causa del lavoro, ma è il piccolo dramma di tutti i genitori. E comunque pensavo che quando sarebbe cresciuto avrebbe capito. Poi succede che il lavoro lo perdo. L’azienda fallisce. Sono a casa. Passano i mesi, non succede nulla. E comincia il vero dramma, quello della gente che ti emargina. Perché in questa regione se non hai un lavoro sei uno zero, il ‘peso specifico’ delle persone è dato dal lavoro, la posizione che ricopri.

E così lentamente sparisci. Il problema non erano solo i soldi. Erano le relazioni. Perché quando non hai un lavoro nessuno ti cerca più. Diventi invisibile. Gli amici un lavoro ce l’hanno e non hanno tempo per te, ti ascoltano un po’ e poi si allontanano, perché sei noioso e ripetitivo. Gli ex colleghi sono nella tua stesa buca e sentirsi fa ancora più male. Gli altri? dov’erano? Intorno non c’è altro che nero. La testa si svuota dei progetti e ti si riempie di nulla di buio. Non ci sono sorrisi e gli svaghi sono sempre meno, perché non te li puoi permettere. La mattina c’è una pressa invisibile che ti tiene schiacciato a letto. Ti fai forza per la famiglia, ma per chi lavora da una vita la famiglia da sola non basta a tenerti in piedi. E poi c’è la vergogna di aver fallito. Vergona, questo sì. Sentimento che non dovevo provare, ora lo sto analizzando a distanza di tempo, perché io non avevo colpe. Ma intanto chi mi conosceva mi ha allontanato. Questa è la colpa che ora riconosco negli altri. Ero emarginato e lasciato solo. Una solitudine che rimbomba di assordante silenzio. Improvvisamente non ero più nessuno. E invece io ero ancora io, con le mie idee, con le mie capacità. Ero e sono giovane, ho tante cose da fare. Ora ho trovato una soluzione per la mia vita. Non definitiva, ma c’è. Ma quel buco nero, quando lo hai provato, non ti abbandona mai. E’ sempre lì pronto a prenderti. E’ la depressione, certo. Ma la depressione da assenza di lavoro ha una connotazione diversa dalle altre. Ho paura di rimanere solo ancora. Forse è questo che dovremmo cambiare. Il concetto di ‘interezza’ della persona legata al lavoro. La politica e la società parlano tanto quando c’è un suicidio. Colpa della crisi, colpa dei crediti, dei debiti, colpa di Monti. La verità è che la colpa è nostra. Io sono sopravvissuto a un suicidio solo per pura fortuna. Ma c’è un segno nel mio cuore che non mi andrà più via. Avevo perso il lavoro per colpa di un imprenditore sciacallo e di un sistema legislativo che gli ha permesso anche di fottersi i miei soldi. Ma non avrei mai tentato di uccidermi ‘solo’ per questo. La verità è che volevo ammazzarmi perché la stessa gente che si indigna è quella che quando perdi il lavoro ti lascia solo. Ti cancella. La cicatrice sul cuore non è l’assenza di lavoro. E’ l’abbandono. Poi, se vi fa più comodo, date pure la colpa a Monti. Certo così è tutto molto più semplice.

Lettera firmata